M1 Linea Rossa la metropolitana più antica e lunga di Milano

0
16493
Linea Rossa M1 Milano

Sommario

Nonostante abbia (almeno per ora) solamente quattro linee, la metro di Milano è la più grande d’Italia con i suoi 94,5 km di binari. In questa guida partiremo proprio dalle radici, dalla linea M1, meglio conosciuta come la linea rossa. Fu la prima a essere realizzata, negli anni Sessanta, a lunga distanza di tempo dall’antesignana Londra. Detto ciò, è doveroso sottolineare che il progetto era già da tempo nei piani, addirittura nel XIX secolo. Comunque evitiamo di correre troppo. Nell’articolo ti forniremo prima una lunga panoramica sulla linea rossa M1, dopodiché passeremo ad analizzare lo schema della rete e tutte le info utili per usufruirne.

 

Ottocento: la storia della Linea Rossa M1

Malgrado la tradizione delle ferrovie metropolitane o sotterranee fosse da tempo ben radicata nella mentalità fortemente industriale e moderna del capoluogo lombardo – riporta blog Metro Ricerche – toccò portare lungamente pazienza. Infatti, si resero necessari ben 101 anni dall’apertura della prima londinese affinché la controparte meneghina entrasse in servizio. Questo enorme lasso di tempo è dipeso, in buona sostanza, da due precise ragioni:

  • la rivoluzione industriale arrivò in ritardo in Italia e, di conseguenza, le città non crebbero abbastanza da dare forma a un mezzo di locomozione tanto evoluto come quello della metro;
  • l’instabilità socio-politica segnalata nel corso del Novecento che ha funestato la nostra storia nazionale, tra onerose guerre mondiali, governi deboli e instabili, una dittatura lunga e violenta, perlopiù interessata a improduttive e costose vicende coloniali, e crisi economiche.

Insomma, il XX secolo fu ben lungi dal potere essere definito felice nei nostri confini. A ogni modo, l’ambizione meneghina di dotarsi di una ferrovia sotterranea fu manifestata già nel 1857, vale a dire ben 6 anni prima che la Metropolitan Railway, la prima metropolitana al mondo, venne costruita a Londra, e 17 anni dopo l’apertura della Milano-Monza. 

L’intuizione è da attribuire all’ingegner Carlo Mira (1799-1885), il quale propose di deviare verso il canale Redefossi i navigli nel centro urbano, la c.d. fossa interna. L’idea di Mira piacque al colonnello Edoardo Gandini, che aveva assistito da posizione privilegiata alla costruzione della prima linea londinese. Così nel 1863 dispose di collocare un’ippovia su rotaia concepita dall’ingegnere nei canali prosciugati. A monte il concetto era di convogliare sotto la superficie terrestre il traffico pesante. 

Tuttavia, fu lo stesso Mira a segnalare gli ostacoli economici e tecnici, mettendo da parte il progetto. Trascorso un decennio esatto, l’architetto Giovanni Brocca riprese in mano l’attività di Mira. Al fine di riformare l’alveo della fossa, a partire dal laghetto di San Marco, ripartendo la sua normale larghezza in due parti uguali. Dedicò per una, quella verso la via, ai rotanti, chiusa ad accrescimento del piano ordinario viabile e a guisa di canale sotterraneo. Preservando l’avvallamento di allora, l’altra la  destinò a luogo di traino per una ferrovia a cavalli a doppio binario. 

Le soluzioni avanzate da Brocca non riscossero, però, il favore dell’Amministrazione comunale. Tramite il cavalier Belinzaghi, rispose che “il mettere la tranvia così in basso, diventa esteticamente cosa poco simpatica” . Già in questa frase è forse riassumibile il rapporto complicato tra il mondo architettonico e l’infrastruttura in questione. 

In occasione della Grande Esposizione di Milano nel 1881, Brocca colse la palla al balzo per ripresentare il suo progetto, stavolta a Roma al Ministero. Andò male: le autorità bocciarono il piano e guardarono all’esempio viennese. 

Il Politecnico, rivista specialistica dell’Ingegnere Architetto Civile e Industriale, rispolverò nel 1885 i principi di Mira. Ma li ampliò a tutti i navigli di Milano, con particolare riferimento alla cerchia che da lì a poco sarebbe finita interrata. Anche poiché l’elettrificazione dei tram partirà solo nel 1892, la trazione sarebbe sempre stata a cavallo. 

Nel 1895 venne siglata con la Società Edison una concessione per l’esercizio tramviario. Pertanto, ebbe inaugurazione la prima linea di tram elettrici, inaugurando l’era dei sistemi di trasporto moderni. Contestualmente, determinò la fine dell’epoca del trasporto pubblico a cavallo ma anche di quella del vapore. 

 

Il primo progetto della metropolitana Linea Rossa 

Gli ultimi vent’anni dell’Ottocento furono contraddistinti da profondi mutamenti. Innanzitutto, a Londra, dove la prima linea del 1863 – lunga appena 6,4 chilometri aveva treni spinti da locomotive a vapore – era stata introdotta nel 1886 la trazione elettrica. Dunque, vide in tal modo la luce la metropolitana nell’accezione contemporanea del termine. La composero i “tube”, ovverosia gallerie metalliche aventi notevole profondità realizzate a “foro cieco”. Si portò al massimo livello il concetto dell’indipendenza del metrò da qualsiasi tipo di interferenza superficiale o traffico. Successivamente alla capitale inglese, si dotarono di linee metropolitane anche: Berlino (1902); Boston (1901); Budapest (1896); Chicago (1892); Glasgow (1897); New York (1904); e Parigi (1900). 

Carlo Castiglioni e Leopoldo Candiani furono i primi a “suggerire”, tra il 1903 e il 1905, una metropolitana su ispirazione delle linee create a Londra, cioè destinate a collegare le varie stazioni ferroviarie. Il concomitante progetto di costruzione di due nuove stazioni ferroviarie simmetricamente disposte rispetto al centro urbano, spinse i due ingegneri a rimarcare l’esigenza di creare una metropolitana.

Nel 1898 il Ministero dei Trasporti ipotizzò la modifica del nodo ferroviario. Stando ai piani annunciati nel documento la rete nell’ambito cittadino avrebbe dovuto subire una completa riorganizzazione per agevolare la mobilità e servire Milano al meglio. 

Con il Decreto del 13 ottobre 1902 veniva sancito il bisogno di dar corso a due nuove stazioni. Una nel lato orientale della città per servire sia il traffico proveniente dal Mediterraneo (Genova e Nord Europa) sia dal traforo del Sempione, la cui inaugurazione sarebbe avvenuta nel 1906. La seconda per servire le linee provenienti dall’Adriatico (Venezia, Sud Italia, Est Europa). In aggiunta, si ipotizzò che ambo le nuove stazioni non sarebbero più dovute essere di transito, ma di testa, come nelle grandi capitali europee. 

In seguito, il progetto fu rimaneggiato e semplificato, dando corso alla Nuova Stazione Centrale. Le più significative proposte di modifica alla stazione di Porta Genova non vennero mai attuate. In concomitanza alla presentazione del loro progetto per il nuovo nodo ferroviario di Milano, gli ingegneri Castiglioni e Candiani ipotizzarono dunque la creazione di  un “tronco metropolitano sotterraneo a trazione elettrica, il quale potrebbe avere la sua fermata principale nel centro città e precisamente sotto l’attuale Piazza dei Mercanti”, “offrirà al pubblico speditezza e facilità per accedere alle due grandi stazioni viaggiatori”. 

La metropolitana si sarebbe concretizzata come un passante ferroviario per ogni tipo di treno. Oltre a servire i passeggeri avrebbe riguardato sia le merci che la posta. Esattamente come si realizzò più avanti a Bruxelles, sebbene con appena due binari e dimensioni assai più ridotte. 

Nel 1905 i due ingegneri progettarono la linea metropolitana, disegnando ogni singola stazione; queste avevano una conformazione alquanto elementare, senza mezzanino, di forma parecchio simile a quelle di Parigi. In linea con la tendenza prevalente dell’epoca, una tettoia in stile svizzero avrebbe protetto l’uscita, in genere unica.  

Caratteristico fu lo spunto per la stazione Duomo; che, in linea retta con l’asse della Galleria Vittorio Emanuele, sarebbe dovuta sorgere nella parte sud della piazza. In posizione simmetrica rispetto a quello effettivamente realizzato, l’arco gemello di quello di ingresso alla galleria avrebbe dovuto peraltro contenere l’ingresso della stazione della metropolitana. 

 

Linea Rossa: il cantiere

Gli anni passarono, i decenni pure, ma la linea della metropolitana pareva proprio non voler vedere la luce. Furono sempre disagi di carattere tecnico ad impedire la concreta realizzazione dell’ambizioso obiettivo. Eppure, a metà del XX secolo finalmente si diede il via alla messa in opera. 

Finanziata da un prestito dei cittadini e direttamente dal Comune di Milano, i lavori iniziarono nel 1958. Una squadra di 900 operai si occupò del primo lotto. Già nel maggio del 1959 riuscirono a consegnare la prima tratta al rustico. Eppure, è impossibile far capire quale fosse la portata per il capoluogo lombardo, senza considerare il metodo costruttivo delle gallerie. 

Le tecniche adoperate imposero lo stravolgimento della viabilità superficiale. Per far transitare due vetture dalla larghezza di 2,85 metri, la galleria ebbe una larghezza di 7,5 metri con altezza libera pari a 3,9 metri. Il piano dei binari aveva la copertura a non meno di 8 metri dalla superficie, mentre i tunnel a non meno di 3 metri. Il processo costruttivo constatava in una derivazione del “cut&cover” londinese, sistema già usato nel 1863 per la costruzione della primo metro. 

I responsabili non si limitarono a emulare i cugini inglesi, tanto da coniare il c.d. metodo Milano. Per farla breve (ci soffermeremo di più nel prosieguo) prevedeva dapprima la costruzione dei piedritti; dopodiché lo scavo del terreno fino al punto di appoggio della copertura e il getto della medesima. Poi si ripristinò la viabilità di superficie e, in sotterraneo, si scavò e realizzò l’arco rovescio. Per la costruzione dei piedritti furono adottate due differenti metodologie:

  • scavo di due trincee parallele armate con paratie metalliche;
  • l’uso dei fanghi bentonici. In tal caso, la parete è continua (un sistema davvero innovativo all’epoca); oppure composta da pali in cemento armato alternati e strettamente affiancati. 

Si avanzò scavando due piccole trincee di un metro e mezzo di profondità ed un metro di larghezza. Il rivestimento con mattoni era diretto a creare una sorta di guida per il completo scavo. Ad occuparsene lo speciale escavatore con benna mordente. Affinché le pareti non cedessero, gli addetti versavano costantemente una soluzione di bentonite in acqua. Una volta immersa l’armatura metallica, si gettava infine il cemento che, depositandosi sul fondo, spazzava via i fanghi. L’iter venne denominato ICOS, data la cooperazione con la società omonima. 

Nel corso della fase costruttiva, piuttosto rapida, emerse a pieno quanto il metodo attuato fosse impegnativo per il traffico di superficie. E per i più elementari spostamenti pedonali non era da meno. Così, fin dal principio, si accelerò la velocità di esecuzione; per i lotti nel centro urbano, vennero istituiti tre turni di lavoro a coprire le intere 24 ore. Il prezzo da pagare fu il disturbo sonoro nell’arco della notte. In compenso, i ritmi furono qualcosa di straordinario. Per il settimo lotto, ovvero via Dante e piazza Cordusio, i lavori durarono appena 350 giorni. 

Una delle sfide più ostiche era la tratta di via Boccaccio. Qui le pareti del tunnel sarebbero dovute passare a meno di un metro dalle fondamenta delle abitazioni. Eppure, grazie all’impiego dei fanghi bentonici la realizzazione fu tutto sommato agevole, date almeno le premesse. Fece eccezione un edificio in via Gioberti che, già danneggiato durante i bombardamenti, fu accuratamente puntellato. Ad ogni modo, onde evitare eventuali crolli, MM provvide a monitorare costantemente ogni singolo edificio. 

Un’altra matassa da sbrogliare fu il Palazzo della Ragione in via  Mercanti, edificio di epoca medievale. A causa del grande carico, dettato dalla presenza al suo interno dell’archivio notarile, compromise la stabilità. Per tale ragione le volte andarono incatenate ed armate con robuste centinature di legno. 

In seguito si pensò a rinforzare le fondamenta con paletti gettati in opera in fori trivellati a raggiera detti “pali radice”. Inoltre, analogamente a tante altre strutture a portici nel centro, il Broletto fu centinato poderosamente con travi in legno. A partire da Cordusio, anche per le stazioni si assunse la decisione di gettare prima il solaio; e quindi, una volta ripristinata la viabilità superficiale, costruire il piano banchina e il solaio del mezzanino. 

Sebbene all’avanguardia, il metodo Milano aveva comunque delle criticità, riversate inevitabilmente sulla città. Allora assai più diffuse di oggi, le linee filoviarie e tranviarie erano state spostate; per passare sui cantieri erano stati costruiti ponti metallici di tipo militare Bailey in vari punti come via Senato, San Babila e Cordusio; o, ancora, sempre in piazza San Babila il ponte pedonale ad arco, vagamente somigliante ai ponti veneziani. 

Ne soffrì la stessa economia locale. Difatti, gli scavi interessarono aree commerciali quali Corso Buenos Aires, Via Dante, Corso Vittorio Emanuele e non solo. La principale controindicazione consistette nel pesante sconvolgimento di ciascuna via attraversata, che rimase inagibile al traffico. Ecco perché il metodo venne in seguito soppiantato; a favore di quello che realizza lo scavo sotterraneo tramite appositi macchinari chiamati talpe. 

Molti negozi registrarono decise perdite e alcuni giunsero perfino a chiudere. Dai giornali dell’epoca: “Strade occupate da cantieri, voragini aperte dalle scavatrici, grosse betoniere in funzione, ciclopiche opere in cemento armato, e la viabilità rivoluzionata, si che gli stessi cittadini faticano a districarsi.[…] per i lavori della MM e per le esigenze della Fiera, possono avvenire dei mutamenti nei sensi unici, da un giorno all’altro.[…] Entro la fine dell’anno, il terremoto viario sarà terminato e le strade verrano tutte restituite alla circolazione di superficie” (Domenica del Corriere 16 aprile 1961). Oppure “Ogni giorno una novità. I lavori continuano, mai sufficientemente veloci per chi segue passo passo l’avanzare delle paratie e dei piedritti, le gettate di calcestruzzo e di cemento armato, in modo impressionante invece per chi, come noi, va a dare una capatina ogni tanto” (Città di Milano). 

Non è nemmeno da trascurare l’ingente numero di reperti archeologici emersi durante gli scavi, vista la loro superficialità. A dirigere le operazioni di recupero fu professor Mirabella Roberti, Sovrintendente per i Beni Artistici e Storici. I lavori permisero di scoprire: in via Mercanti, un tratto di basolato romano in ottime condizioni; le fondazioni della cattedrale antica di Santa Ecla del battistero prospiciente di San Giovanni, risalenti al IV secolo d.C. 

In corso Vittorio Emanuele, dinanzi alla chiesa di San Carlo, furono segnalati importanti ritrovamenti. In genere, la politica attuata fu di esporre tali reparti all’interno di un sottopassaggio costruito insieme alla metro ma indipendente. Purtroppo il sottopassaggio venne successivamente chiuso e le scale di accesso demolite, finendo perciò per essere dimenticato. 

Come abbiamo già spiegato in precedenza, le stazioni erano in principio previste subito sotto la superficie stradale, senza mezzanini. In una successiva fase progettuale si fece dietrofront. I progettisti stabilirono di inserire i mezzanini per permettere: 

  • l’attraversamento sotterraneo delle scale;
  • il controllo con tornelli;
  • la disposizione di spazi commerciali. 

Nella versione finale, le stazioni disponevano di analoga struttura:

  • due binari serviti da altrettante banchine laterali;
  • un mezzanino superiore che conteneva il gabbiotto dell’agente di stazione e i tornelli d’accesso

In previsione degli interscambi con le future linee 2, 3 e 4 (mai realizzata) alcune stazioni avevano mezzanini più ampi. Le banchine avevano una lunghezza di 100 m, con circolazione a 2 o 3 vetture. Che aumentarono a 6, tramite il ricorso a due unità di trazione da 3 vetture unificate. Per riuscirci la banchina venne allungata e si introdusse l’arresto elettronico di precisione a “punto meta”. 

Quando l’opera era già realizzata al rustico, il progetto di arredo delle stazioni venne commissionato a Franca Helg e Franco Albini. Gli architetti puntarono parecchio sulla massima funzionalità, sulla semplicità del disegno e sull’innovazione della materia (pannelli alle pareti in Silipol). La grafica fu affidata a Bob Noorda, architetto e designer olandese da tempo operante a Milano. La collaborazione tra la società MM e i tre architetti continuò ancora a lungo; comprendendo pure la progettazione della linea 2 e varie consulenze per la realizzazione dei prolungamenti. 

Nella relazione di progetto di F. Albini, F. Helg e A. Piva si legge: “È un intervento unitario esteso a tutta la città […] concepito sulla ricerca di […] uniformazione dei materiali […] conformi al concetto di serie e di ripetibilità, sull’eleganza dei dettagli studiati per una stazione campione via via ripetuti o adattati, sulla chiarezza ed uniformità della grafica. Le pareti sono rivestite da lastre modulari e smontabili che formano un’intercapedine per gli impianti. Il lavoro di finitura […] si è svolto su di una struttura già realizzata e con limitatissime possibilità d’intervento sul piano distributivo”.

La linea fu elettrificata alla tensione di 750 Volt cc, con terza rotaia per permettere una riduzione dell’altezza delle gallerie. Ne derivò un risparmio sui costi di costruzione. Tuttavia, ci fu il bisogno di un sistema già introdotto sulla metropolitana di Londra; l’umidità del terreno rese necessaria l’installazione di una quarta rotaia di ritorno, per abbattere le correnti vaganti. 

Il materiale risultante in esubero dagli scavi fu impiegato al Parco Lambrate di Milano per la realizzazione di una collinetta artificiale, alta 35 metri. Era a ridosso di una cava dismessa adiacente Via Feltre; pertanto, dotata di percorsi, rivestita di terreno fertile ed adeguatamente piantumata. Ultimata nel 1962, la collinetta era destinata originariamente a rivestimento artificiale per pratica sciistica, ma mai realizzata. 

Il 1° novembre 1964 fu attivata la prima tratta, da Sesto Marelli a Lotto; era lunga 11,8 chilometri e annoverava 21 stazioni. Alla cerimonia inaugurale presenziarono i ministri Arnaudi, Russo, Spagnolli e Tremelloni; prezzo la stazione capolinea di Lotto, il sindaco di Milano, Pietro Bucalossi, tenne il discorso di rito. 

Nel 1964 il biglietto per una corsa, a prescindere dalla lunghezza della tratta, costava 100 lire. Non utilizzabile su altri mezzi di superficie, era costituito da una striscia di cartoncino; un’estremità era stampata con inchiostro metallizzato, che tranciava l’apposita obliteratrice magneto-sensibile.

Il Metodo Milano della Linea Rossa 

Chiunque abbia, prima o poi, preso atto della storia della Linea 1, anche brevemente, ha sentito anche parlare del Metodo Milano. Si tratta del sistema di costruzione delle stazioni e dei tunnel, secondo cui le operazioni andavano eseguite in maniera diversa. Il procedimento è definito top-down, ovvero dall’alto al basso. 

In sostanza, venivano prima realizzate le pareti laterali, lasciando aperta, sebbene ridotta, la carreggiata centrale; poi si passava a chiudere la viabilità, eseguire un primo scavo parziale, e realizzare la soletta di copertura del tunnel. Infine, una volta conclusa la viabilità, si procedeva allo svuotamento del tunnel direttamente in sotterranea; nonché alla creazione della soletta di fondo ad arco rovescio. Il tutto con l’impiego di calcestruzzo armato. Tale procedimento andava a sostituire quello della trincea semplice. In tal caso, sarebbe stata imprescindibile l’interruzione della viabilità per la durata quasi intera dei lavori. 

In aggiunta, ci si occupava degli sforzi per il sostegno dei palazzi al margine delle strade; senza per questo ricorrere, mediante scudo meccanizzato (le talpe ancora non esistevano) allo scavo, per un tangibile risparmio. I costi risultavano, infatti, decisamente più elevati, per via dell’estrema profondità richiesta, poco adatta, fra l’altro, alla falda milanese. 

Pochi sono al corrente che tale metodologia deriva da un’altra invenzione locale, con un successo decisamente maggiore. Ci riferiamo ai fanghi bentonici, oggi sempre più usati nelle sue evoluzioni, per la realizzazione nel terreno di manufatti. 

A brevettare il sistema, in apertura degli Anni Cinquanta, fu l’Impresa Costruzioni Opere Specializzate (ICOS). La ditta milanese riuscì a brevettarlo, su intuizione di Christian Veder, ingegnere austriaco. I cantieri urbani furono pressoché “costretti” ad avvalersi del sistema appena illustrato:

  • per creare i limiti per uno scavo;
  • per realizzare le fondamenta di edifici, anche molto alti (un esempio recente è il complesso CityLife). 

Il sistema coniuga semplicità e genialità: una speciale macchina scavatrice (anch’essa brevettata dalla ICOS) esegue uno scavo nella forma indicata dal progetto. Nel caso del servizio metropolitano si tratta di pareti ondulate o lineari. In concomitanza, l’acqua mescolata a bentonite viene immessa nello scavo, che compone una specie di gel. Successivamente si inserisce l’armatura metallica della struttura e, per concludere, viene gettato il calcestruzzo partendo dal basso.

Una volta compiute tutte le operazioni indicate, si effettua lo scavo vero e proprio. Il concetto alla radice è che per la consistenza e la densità del gel le pareti laterali non cedono. Al contempo, essendo comunque un liquido, il gel è facilmente removibile. La metro meneghina fece uso larghissimo del sistema (oggi di prassi) e fu una delle sue prime applicazioni in ambito. Il successo della tecnologia sviluppata riscosse ampi consensi; tanto che nel 1964, per la fondazione del World Trade Center, la ICOS fu chiamata per realizzare la vasca enorme. 

La vasca, sostanzialmente indistruttibile, è la stessa che contiene oggigiorno le fondazioni dei nuovi edifici realizzati nell’isolato newyorkese. All’interno del museo dell’11 settembre una parte della stessa è lasciata in vista. 

 

Il tracciato della Metrò M1 Linea Rossa

Correvano gli Anni Cinquanta, il secondo conflitto bellico era terminato da poco. Per la città di Milano, Amerigo Belloni curò la “Rete delle Linee”, poi solo parzialmente realizzata. Era lo stadio embrionale dell’attuale rete di metropolitana.

Il 1953 fu da questo punto di vista un anno spartiacque. Dopo più di un secolo di ipotesi, di studi e di ricerche, finalmente il progetto della rete metropolitana meneghina venne presentato. Il 14 gennaio 1955 – con il decreto n. 5207 – il Ministero dei Trasporti vi diede approvazione. In via preliminare il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici aveva prestato il proprio consenso. Per i primi 12,3 km di linea con 21 stazioni vigevano numerose raccomandazioni e prescrizioni, tra cui: 

portare la larghezza dei treni dai 2,64 a 2,85 metri, così da ottenere una capienza maggiore. Si allargarono, di conseguenza, le gallerie;

ciascuna stazione doveva adattarsi alle varie situazioni locali. Per tutte, in un piano sotterraneo sovrastante il piano delle panchine, bisognava ricavare una biglietteria unica. 

 

A seguito dell’ok, il 6 ottobre 1955 l’Amministrazione Comunale costituì la MM. Acronimo di Metropolitana Milanese, era concessionaria in esclusiva per la costruzione e l’esercizio del servizio metro. Costituita sotto forma di S.p.A. la presidiò Ercole Bottani, ingegnere e professore del Politecnico. Questa società, di proprietà del Comune, aveva per 30 anni il diritto di gestione in esclusiva delle metropolitane. Diritto perso nel 1961 a favore dell’ATM. 

Superato lo step propedeutico del nulla osta, la MM redisse il progetto definitivo delle prime quattro linee. Da subito la peculiarità maggiore dell’intero impianto erano il numero e il colore, pensati per una migliore distinzione. L’approvazione definitiva giunse con il decreto numero 694, 16 novembre 1958, del Ministero dei Trasporti; alcuni mesi prima, il 24 luglio, aveva espresso voto favorevole il Consiglio Superiore dei LL. PP.  n. 1649. Nel mentre, i lavori per la linea 1 erano iniziati il 12 giugno 1957.

Le quattro linee erano così strutturate:

LINEA M1 ROSSA: identica a quella attualmente in servizio;

LINEA M2 VERDE: partiva dalla stazione Lambrate, dove si collegava alle Ferrovie Celeri dell’Adda. Come fa effettivamente oggi, arrivava fino alla stazione Cadorna; da lì poi proseguiva in direzione sud passando per Corso di Porta Ticinese. 

LINEA M3 GIALLA: ripercorre in parte il tragitto attuale, dalla Stazione Centrale al Duomo. A Sud e Nord stabiliva di procedere rispettivamente il parco Solari e viale Lunigiana. 

LINEA M4 BLU: avrebbe dovuto, in pratica, percorrere lo stesso tragitto dell’odierno Passante Ferroviario. Partendo da piazza Firenze sarebbe giunta a piazza Medaglie d’Oro e da lì proseguire verso Sud/Est. 

Come spiega MetroRicerche, dalla visione della mappa e dalla lettura delle percorrenze emerge nitidamente l’attenzione riposta ai maggiori nodi urbani; sia di trasporto che di interesse per numero di utenti, di fatto tutti collegati opportunamente dalla rete. 

In tal senso, l’esempio più rilevante è la Linea M2; fin dal principio aveva la funzione di collegare le stazioni ferroviarie nella quasi totalità, toccando il centro. La priorità assegnata alla Linea M1 scatenò accese polemiche; ciò poiché non toccava la Stazione Centrale. Gli attriti nacquero in realtà soprattutto per via della cattiva interpretazione di “rete”, in confronto all’osservazione della linea singola. A tal riguardo, è opportuno confutare un luogo comune, ancora oggi sussistente, circa le quattro linee. 

Diversamente dalla credenza diffusa, non sono totalmente indipendenti; oltre all’interscambio per i passeggeri, nelle stazioni di contatto erano statuiti raccordi tra i tunnel. Ciò non fu frutto del caso, bensì una mossa ben ponderata affinché un treno potesse, in pratica, raggiungere qualsiasi punto della rete. 

 

Il pavimento in gomma della Linea Rossa Metropolitana Milano M1

Tra i vari materiali concepiti ad hoc per la Linea M1 di Milano il pavimento in gomma è senz’altro stato quello di maggior successo commerciale. A mezzo secolo di distanza è possibile ancora calpestarlo in 18 delle 21 stazioni originali del ’64. Dopo un periodo di tempo così lungo è ancora lì, nella sua posizione originale; perfettamente in grado di assolvere alla funzione originale. Trovare pavimenti di dieci lustri usati in luoghi pubblici così frequentati, che siano ancora completamente utilizzabili, è qualcosa di raro. Esaminando con cura, i bolli sono ancora integri e non ci sono segni di consumo.

Il primo uso di un pavimento in gomma per un’infrastruttura in Italia è attribuito alla stazione Termini a Roma; mentre il pavimento a bolli per la prima volta fu installato nella stazione campione di Amendola Fiera. Poi il pavimento fu sperimentato in Malesia, presso l’aeroporto di Kuala Lumpur, che sempre nel 1963 venne aperto al pubblico. Attualmente tale tipologia di pavimentazione è comune in ogni parte del mondo; vi si è ricorso per le metropolitane di Bruxelles, Genova, Londra, Napoli, San Paolo e tante altre ancora. Inoltre è diventato di uso comune per parecchie forme di spazi pubblici. Attualmente il pavimento non è più prodotto dalla Pirelli ma dalla ditta Artigo. 

Su un piano squisitamente tecnico è in sola gomma di tinta nera. Il tipo di lastra si presenta con il disegno a bolli studiato e disegnato specificamente per la metro di Milano. Non lo realizzò direttamente la consociata Pirelli, ma la Linoleum. Sia per il mezzanino che per il lato banchine la colorazione nera è uniforme, i singoli moduli quadrati hanno il lato di 60 cm. La presenza dei bolli agevola il deflusso dell’acqua, sia dovuta a fenomeni meteorologici sia per il lavaggio, e la giuntura tra i moduli. 

In certe stazioni, come De Angeli, si è ricorso pure a una variante a strisce orizzontali e verticali alternate. Lungo il tratto Molino Dorino – Sesto FS il disegno delle stazioni è sempre a bolli. I tratti distintivi di questo pavimento sono il potere fonoassorbente, la resistenza e la sostanziale accessibilità. D’altra parte la manutenzione è piuttosto semplice; infatti, le mattonelle sono facilmente lavorabili e possono essere posate agevolmente una volta stuccate. 

Dubbi e perplessità permangono, invece, riguardo alle origini del modello a bolli. Il pavimento è stato attribuito a Franco Albini, che già da diversi anni collaborava con la Pirelli. Ciò specialmente in merito all’applicazione della gommapiuma per gli oggetti di arredo. Tuttavia, in un suo memoriale Arrigo Arrighetti si è attribuito il merito, sempre in comunione con la Pirelli. 

All’epoca della sua attività di sviluppo della metro rossa, Arrighetti teorizzò tre tipologie pavimenti: frammenti di gomma, gres e materiale lapideo. Ufficialmente sostenne di aver adottato la gomma con bolli, per tre tonalità. Il pavimento in gomma poteva, infatti, già essere prodotto in differenti colori; ciò premessa una considerazione: le tinte diverse dal nero hanno costi più alti e resistenza inferiore. Deterrenti che spinsero Arrighetti verso le piastrelle colorate (gialle, rosse o verdi) esclusivamente per un gruppo limitato di fasce. 

Lo scopo era di indicare e distinguere le varie aree funzionali del mezzanino. Tuttora non è chiaro se la gomma avrebbe trovato ricorso pure per le banchine. Eppure, le affermazioni appena riportate vengono contraddette da un fatto. Nella stazione di Buonarroti, dove l’allestimento sperimentale di Arrighetti insistette, il pavimento in bolli non è mai stato usato. Invece si preferì ricorrere a frammenti di vario materiale lapideo. Ancora oggi è valutabile la soluzione. Ad ogni modo non esiste nessun documento che attesti, in modo inequivocabile, la paternità del pavimento. 

Durante i primi anni Duemila, nelle stazioni Cadorna, Cordusio e Duomo, il pavimento in gomma nera scomparve. Lasciò il posto a uno in gres bianco, che riscosse giudizi poco lusinghieri. Numerosissime critiche piovvero sia in merito alle prestazioni sia alle qualità estetiche. In un secondo frangente pure dalle stazioni Centrale e Loreto il pavimento in gomma venne rimosso. 

Alla luce dei giudizi negativi ricevuti in precedenza, stavolta il pavimento in grès fu grigio chiaro con andamento più irregolare. In confronto a quello bianco appagava maggiormente la vista; il rovescio della medaglia era dato dal fatto di evidenziare qualsiasi minima traccia di sporco in maniera incredibile. Il proposito originale era probabilmente quello di replicare alle accuse di “cupezza” dell’allestimento di Franca Helg e Franco Albini. Se fosse vero parleremmo a ragion veduta di missione compiuta poiché il pavimento bianco ha (forse) aumentato la luminosità interna alla stazione. Di rimando ha provocato un riflesso inappropriato che si è ritorto sull’ambiente. 

 

I tornelli

Il team guidato da Albini si occupò dei tornelli. Il dispositivo in questione era volto alla obliterazione dei titoli di viaggio, ma anche al conteggio e alla gestione dei flussi;

venne preso a spunto per condurre una ricerca estetica al pari di tutto il resto dell’allestimento. Ne derivarono dei tornelli in metallo, contraddistinti dalla componente rotante a forma di trifoglio in metallo lucidato a vista. 

Per la verniciatura si optò a favore dei caratteristici colori dell’architettura. In merito, invece, al percorso di uscita si preferì disegnare dei piccoli sportelli metallici; verniciati in marrone e con in bianco la sola scritta “uscita”. Ad azionarli, una pedana collocata sotto il pavimento in gomma, che ne sbloccava in magnete. Anche tali pannelli sono stati rimpiazzati con il nuovo tornello standard. Connesso, centralmente, alla linea dei tornelli, vi è pure la garitta del dirigente, vale a dire l’operatore di stazione. 

In un primo momento, stando al piano, era costituito da una stazione di alluminio anodizzato color bronzo; come le zone commerciali, con in basso una fascia perimetrale costituita da Fulget e il fronte da un cristallo smaltato. Spiccava poi una parte alta completamente vetrata. La versione finale, adesso svanita, era serrata, in basso, da un lamierino rosso. Sulla ditta produttrice è dato avere poche informazioni. In teoria dovrebbe essere la bolognese AMF SASIF, tuttora esistente. 

 

Metro Linea Rossa: il primo prolungamento 

Pagano-Gambara

Ancor prima dell’attivazione della prima tratta erano partite le opere di costruzione di una diramazione di 2 chilometri di lunghezza. Dalla stazione di Pagano si estendeva fino a quella di Gambara, con due fermate intermedie (Walter e De Angeli). L’introduzione ebbe luogo il 2 aprile 1966, un sabato, alle ore 11 della mattina. Costò in totale 7 miliardi di lire dell’epoca. Fino al 1975 Gambara rimase il capolinea della diramazione. 

In tale sezione della M1, le stazioni sono tre: Wagner, De Angeli e, appunto, Gambara. Per accedervi, immediatamente successivo alla stazione di Pagano, un “salto di montone”; con il binario diretto a Gambara che sottopassa il tunnel a doppio binario in direzione Rho-Fiera. Le tre stazioni sono sempre allestite in stile Albini-Helg-Noorda, ma, anziché a bolli, con pavimenti in gomma nera a righe. Non si è mai capito perché si sia ricorso a tale tipologia di rilievo, dapprima scartato. 

La stazione De Angeli serve il quartiere Frua con una serie di accessi diretti: qualcosa di unico nel panorama meneghino. I suddetti ingressi sono ancora aperti e parzialmente funzionanti (le scale mobili sono state murate). Ad onor del vero, le condizioni lasciano abbastanza a desiderare, il che è, a sua volta, piuttosto anomalo. Presumibilmente sono parte integrante del complesso privato sorto al porto del quartiere industriale dell’azienda Tessile De Angeli-Frua; oppure sono di proprietà comunale, ma – ed è fuori discussione – estraneo alla gestione ATM. In passato si verificò qui una aggressione pesante. Ciononostante ciò non comportò alcun miglioramento della conservazione dei corridoi. 

 

Lotto-QT8 e Gambara-Inganni

L’8 novembre 1975 entrò in esercizio il prolungamento da Lotto a QT8, lungo 1.097 e senza fermate intermedie. Lo stesso giorno partì il prolungamento da Gambara a Inganni; lungo 1.931 metri, era comprensivo delle fermate intermedie di Bande Nere e Primaticcio. 

QT8-San Leonardo (ex Gallaratese 2)

Con delibera del 3 giugno 1974 il Consiglio Comunale di Milano approvò il prolungamento da QT8 al quartiere Gallaratese. Interamente sotterraneo, il nuovo tronco includeva le fermate di Lampugnano, Gallaratese 1, Olona & Gallarate 2; in seguito le ultime 3 vennero rinominate Uruguay, Bonola e San Leonardo. La tratta, estesa 3,3 chilometri, entrò in funzione il 12 aprile 1980. Presso la stazione di Lampugnano si realizzò, peraltro, un parcheggio di interscambio con oltre 1.500 posti macchina. 

Sesto Marelli-Sesto 1º Maggio FS

Il 20 febbraio 1980 il consorzio intercomunale avallò il prolungamento da Sesto Marelli a Sesto 1° Maggio FS. Un tronco completamente sotterraneo, lungo 2,270 chilometri, ricadente nel territorio comunale di Sesto San Giovanni; in essa confluiva la stazione intermedia di Sesto Rondò. L’attivazione della tratta fu fissata al 28 settembre 1986. 

A proposito della fermata di Sesto Marelli, il 26 aprile 1982 venne distrutta in un attentato incendiario. Si rese, pertanto, indispensabile chiuderla per cinque mesi, cosicché ricevesse gli opportuni interventi di ristrutturazione e fosse messa in sicurezza.

“Si tratta per Mediobanca del terzo club deal immobiliare in poco più di un anno nato dalla collaborazione tra private banking e corporate & investment banking. Aver portato a termine un’operazione così prestigiosa, la principale in ambito immobiliare, in un anno come il 2020 caratterizzato dalla pandemia, conferma la nostra capacità esclusiva nell’identificare immobili iconici con locatari solidi e di qualità, strutturando e seguendo l’intero iter di acquisizione secondo le best practice di mercato”, ha commentato Dino Gioseffi, Coverage Larg Corp & Head of Real Estate di Mediobanca.

San Leonardo-Molino Dorino

Contemporaneamente al prolungamento Sesto Marelli-Sesto 1° Maggio, il 28 settembre 1986 venne attivato il prolungamento da San Leonardo a Molino. Lungo 866 metri, era sotterraneo senza fermate intermedie. 

Inganni-Bisceglie

Il prolungamento della linea M1 da Inganni a Bisceglie, senza fermate intermedie, fu nel Piano dei Trasporti urbani. Approvato nel gennaio 1990, toccò attendere il 21 marzo 1992 per l’inaugurazione di Bisceglie; aggiungendo alla linea rossa 0,7 chilometri, divenne l’attuale capolinea sud-est. 

Molino Dorino-Rho Fieramilano

La nuova fiera di Milano è una tappa cruciale nella storia recente del capoluogo lombardo. Posta tra Pero e Rho, fu costruito a tale scopo il prolungamento da Molino Dorino a Rho Fieramilano. In occasione delle elezioni regionali, dal 30 marzo al 2 aprile 2005, si attivò, in via provvisoria, a binario unico. Il successivo 14 settembre fu aperto definitivamente il doppio binario. La stazione di Pero, in un primo frangente non ultimata per velocizzare le opere, fu attivata il 19 dicembre 2005. 

Le date delle aperture

Riepilogando, ci sono state le seguenti aperture:

1º novembre 1964: Sesto Marelli – Lotto

2 aprile 1966: Pagano – Gambara (nuova diramazione)

18 aprile 1975: Gambara – Inganni

8 novembre 1975: Lotto – QT8

12 aprile 1980: QT8 – San Leonardo

28 settembre 1986: San Leonardo – Molino Dorino e Sesto Marelli – Sesto 1º Maggio FS

21 marzo 1992: Inganni – Bisceglie

30 marzo 2005: apertura provvisoria Molino Dorino – Rho Fiera, fino al 2 aprile

14 settembre 2005: Molino Dorino – Rho Fiera

19 dicembre 2005: aggiunta la fermata di Pero

 

Biglietto magnetico M1 Metro Milano

Per il pagamento dei trasporti pubblici ATM, il 7 luglio 2006 si mise in vendita il primo biglietto magnetico. Da qualche mese sia gli obliteratori che le emettitrici magnetiche furono tarate e installate. Nel dicembre 2005, in occasione dell’incontro della Comunità Taizè, i membri ricevettero in anteprima dei biglietti omaggio dall’ATM. Furono emessi in tiratura particolarmente limitata, in versione magnetica. 

A luglio gli addetti ATM iniziarono ad attivare e a caricare le nuove macchinette distributrici; montate nella metro, furono oggetto di una fase sperimentale. Ma il 7 luglio si diede l’ordine di attivarle per il pubblico; insieme al consenso alla vendita da parte dei rivenditori privati, i quali avevano già ricevuto le prime scorte. Dapprima i biglietti erano prodotti in tre forme: 

  • stampa tipografica su carta normale (bordi arrotondati);
  • stampa laser istantanea (rettangolo nero sul retro);
  • stampa laser o tipografica su carta laser in azienda (quadrato nero sul retro).

Ciascuno omaggiava i 75 anni dell’ATM. Nel prosieguo la stampa tipografica su carta normale scomparve; il che attirò delle critiche perché la si riteneva adatta ad emissioni pubblicitarie o commemorative. Solamente con l’avvento dei treni Meneghino ebbe inizio la stagione delle versioni commemorative che intendevano replicare il successo pre 2007. 

In parallelo alla serie di biglietti cartacei, riproducenti i mezzi di trasporto, furono messi in vendita anche degli appositi raccoglitori. Così facendo, si diede slancio in modo impareggiabile al mercato collezionistico.

Nel dettaglio, i biglietti di Milano sono in cartoncino leggero, prima rosa e ora bianco. Con indicazioni variabili stampate sul fronte accanto a un logo policromo dell’azienda; un codice seriale prestampato sul retro; fascia magnetica di 5 mm sul lato lungo del retro. I biglietti “istantanei” vengono stampati al momento dalla macchina distributrice; che impiega un rotolo di carta continuo, dal quale, mano nella mano, vengono tagliati i pezzi singoli. All’interno non è contenuto nessun chip e non possono essere letti “contactless”. 

Chiunque abbia il desiderio di intraprendere una collezione deve sapere bene a ciò che andrà incontro. Sarà davvero complicato tenere i pezzi in ottimo stato ciò poiché la stampa magnetica patisce il calore; un’ulteriore minaccia sono gli agenti chimici contenuti nella consueta plastica dei classificatori per tessere telefoniche. 

Sebbene utilizzabili, dato lo stesso formato, è preferibile ricorrere a soluzioni di riserva, onde evitare di compromettere la tenuta estetica. Pertanto, vanno conservati singolarmente con carta velina o carta normale. Eppure, nel lungo termine il quadro sarà ben poco rasserenante, poiché le scritte laser si cancelleranno. 

 

Elettromotrici della Linea 1 metrò

Sulla Linea 1 della Metropolitana di Milano sono in servizio le Serie di elettromotrici 100/200 e 600/700. Costruite dal 1962 al 1989 in 9 differenti lotti (divisi in tre distinte serie), sono entrate in funzione il 1° novembre 1964. Naturalmente, con il passare del tempo si è assistito ad una evoluzione. E oggi sono unicamente in circolazione il treno del 4°-5° lotto e del 7°-9° lotto; nel 2015 le vetture del primo e del sesto lotto sono state ritirate dal servizio, rimpiazzate dagli MNG “Leonardo”. 

Le elettromotrici a cui ci riferiamo sono elettrostatiche: la accelerazione progressiva viene eseguita mediante: 

  • l’esclusione di un reostato; 
  • il cambio di combinazione da serie a parallelo dei motori. 

A disporre tale accelerazione un avviatore automatico Marelli. Lo gestisce un controller a 5 posizioni (0 – Manovra – Serie – Parallelo – Campo Ridotto), sito in cabina. I motori sono a corrente continua (con commutazione a spazzole) del tipo:

  • MTS350/180/022/8-9 (Ansaldo) per il 1º-3º lotto;
  • MTS350/180/022/10-11 (Ansaldo) per il 4º-6º lotto;
  • MP4B-RT1.365s/B (Alsthom-Mater) per il 7º-9º lotto.

In aggiunta alle trenta Msc prodotte nel biennio 1981-1982, quattro provengono dalla motorizzazione di rimorchiate del 3° lotto (1968-1969). La frenatura di servizio è elettropneumatica, ovvero non implica il recupero di energia; mentre per la frenatura d’emergenza si impiegano degli appositi pattini collocati sui carrelli. 

Dal 2005 il rinnovamento dei treni del 4º-5º e 7º-9º lotto sostituì l’avviamento reostatico con un chopper ad armatura; i motori originari rimasero in corrente continua. La soluzione era già stata sperimentata dal 1977 al 1983 su otto elettromotrici con equipaggiamento Jeumont-Schneider e Marelli. I rotabili dal 1° al 3° lotto erano costituiti in acciaio, mentre i seguenti in lega leggera. Le elettromotrici compongono delle UdT (Unità di Trazione) a composizione bloccata di tre elementi (M+R+M). Di solito un treno è formato da due Unità di Trazione (M+R+M + M+R+M).

 

Le prime elettromotrici Serie 100/200 viaggiarono dal 1964 al 1968 senza rimorchiate intermedie; presentavano composizioni di due o quattro unità (M+M oppure M+M + M+M). Con l’introduzione nel 1968 delle rimorchiate, entro i primi Anni Settanta ciascun treno venne allungato a 3+3 elementi. Con l’avvento delle Msc (motrici senza cabina), la composizione di certi treni è diventata di una singola Unità di Trazione a sei elementi (M+R+Msc+Msc+R+M).

 

Storia elettromotrici della metro Linea 1 Rossa

Nel 1964, con l’apertura della prima tratta della linea No. 1 Lotto-Sesto Marelli, furono introdotto le elettromotrici della linea 1. Spesso ci si rivolge a loro con il nome di “Tradizionali”, per distinguerle da quelle successive MNG (Meneghino e Leonardo). Esse stabiliranno gli standard costruttivi (impostazione generale, composizione, dimensioni) di materiale rotabile. Questo per ciascun treno della metro italiana costruito “a sagoma intera” dagli Anni Sessanta in avanti. Ad esempio, la linea A a Roma e la linea 1 a Napoli si avvalsero del suddetto metodo; diversamente dalle linee 4 e 5 a Milano, 6 a Napoli e il servizio metropolitano di Brescia e Genova. Hanno sia dei captatori per la quarta rotaia che pantografi per la catenaria presente nei depositi. 

La Breda Costruzioni Ferroviarie (Serie E) e la OM (Serie 200) costruirono, tra il 1962 e il 1963, i treni del 1° lotto; per un ammontare complessivo di 60 veicoli (30 l’uno), ovverosia 30 convogli binati. I veicoli del primo lotto sono tra loro fondamentalmente identici nell’estetica, seppure con avviatori diversi. I differenti numeri di serie derivano dal fatto che, inizialmente, la distinzione avveniva in base al costruttore; dunque, le motrici realizzate dalla Breda composero la serie 100, mentre la serie 200 finì per indicare le motrici OM. 

Il sistema di classificazione riportato ebbe applicazione su ciascun lotto di motrice della Linea 1 (incluse le Msc senza cabina); dopodiché venne riutilizzato pure per i treni della Linea 2 (serie 300/400) eccetto per la serie 500. Ma fu abbandonato per quelli della Linea 3, dove:

  • le motrici sono classificate come Serie 8000 o 8100;
  • i rimorchi come Serie 9000 e 9100.

Ciò in quanto se ne prese carico un consorzio di imprese. 

L’apertura della diramazione verso Gambara dettò l’aggiunta di 24 nuove motrici (costituenti il secondo lotto) nel 1966. La costruzione delle vetture dei due lotti fu ripartita equamente tra Breda e OM, come per il primo lotto. Quelli del terzo videro la luce nel biennio 1968-1969, secondo la medesima ripartizione, per un totale di 26 motrici; ad esse si implementarono le prime 26 rimorchiate della Serie 100 (opera di SIAI-Marchetti, OM e Breda). 

I treni della Serie 300/400 sulla Linea 2 non furono subito pronti; per colmare il ritardo, vi si trasferirono 6 Unità di Trazione del 3° lotto, in composizione standard M+R+M. Sempre a titolo provvisorio, la linea venne alimentata a 750 volt e con captazione attraverso catenaria; ricorrendo al pantografo per il movimento nei depositi. Dal 4 ottobre 1969 i treni della Serie 100/200 (cinque in servizio, uno in riserva) rimasero operativi sulla Linea 2; fino all’8 novembre 1971, quando entrò in servizio l’ultimo treno necessario per sostituire i treni trasferiti dalla Linea 1. 

Con la simultanea apertura delle tratte Lotto-QT8 e Gambara-Inganni entrarono in servizio i veicoli del quarto lotto; 54 motrici Serie 100/200 e 10 rimorchiate Serie 1100 rispettivamente prodotte dalla Fiat e dalle Officine Cittadella. Tali nuove elettromotrici (così come quelle prodotte in seguito) furono dotate di:

  • porte ad espulsione invece delle porte scorrevoli;
  • fari rientrati nella casa invece dei fari sporgenti;
  • pantografi monobraccio (come sulle Serie 300/400 della Linea 2) anziché a rombo dei treni dei primi tre lotti. 

Altre 20 rimorchiate delle Officine Cittadella entrarono in servizio nel 1975, per il quinto lotto. 

In apertura del 1977, su otto elettromotrici appartenenti al quarto e al quinto lotto, fu sperimentato l’azionamento elettronico a Chopper. Con equipaggiamento Marelli e Jeumont-Schneider, i risultati si rivelarono soddisfacenti, ciononostante nel 1983 le elettromotrici furono riportate all’azionamento reostatico. 

Fabbricate dalla Stanga, 30 nuove Msc della Serie 6100/6200 (sesto lotto) furono immesse in servizio nel biennio 1981-1982. Presso la stazione di Sesto Marelli, il 26 aprile 1982, accadde un attentato incendiario; il Movimento Rivoluzionario Proletario Offensivo distrusse due treni (11 veicoli appartenenti ai primi tre lotti). Affinché simili episodi non accadessero più, i sedili imbottiti su ciascun treno furono rimpiazzati con sedili in materiale ignifugo. 

Nel 1986, con la simultanea apertura delle tratte San Leonardo-Molino Dorino e Sesto Marelli-Sesto 1° Maggio FS, l’offerta crebbe. Entrarono, infatti, in servizio i veicoli del settimo lotto 14 Unità di Trazione complete (M+R+M) con:

  • motrici Serie 600/700 (Stanga);
  • rimorchi Serie 1300 (Socimi-Stanga).

Due anni più avanti, nel 1988, si aggiunsero altre 12 UdT per l’ottavo lotto con:

  • motrici Serie 600/700;
  • rimorchi Serie 1300 (Socimi-Stanga).

Nel 1989 toccò ad altre 10 UdT entrare in funzione per la Linea 1, nono lotto, con:

  • motrici Serie 600/700;
  • rimorchi Serie 1300 (Socimi-Stanga).

A differenza delle 100/200, le Serie 600/700 furono da subito consegnate in UdT completa, in composizione M+R+M. 

A partire dal 2005, con l’inaugurazione della Molino Dorino-Rho Fieramilano, le elettromotrici dal quarto lotto in poi furono aggiornate, attraverso:

  • la sostituzione dell’avviamento (da reostatico a chopper);
  • l’installazione di nuove porte ad azionamento elettrico, di nuovi fari a LED, dell’aria condizionata e degli intercomunicanti. 

Si passò, inoltre, a una nuova livrea rosso chiaro, con il numero “1” ripetuto lungo la fiancata. 

Dal 2009 i sedili furono rimossi e uno dei finestrini delle motrici dei primi tre lotti accecato. Al loro posto si fece largo all’ “armadio”: 

  • del ricevitore;
  • del sistema di bordo del sistema di segnalazione a blocco mobile (CBTC), installato sulla Linea 1.

Nel 2015 si ritirarono i treni dei primi tre lotti, dopo quasi 50 anni di onorata carriera. La scelta fu presa a causa dell’introduzione dei treni Leonardo. Ad oggi circolano unicamente treni rimodernati dei lotti dal quarto in poi. 

 

Metro linea Rossa: depositi metropolitana 

La Linea M1 rossa ha due depositi:

  • Precotto (in funzione dal 1964);
  • Gallaratese (1986). 

Per questioni di sicurezza, la terza rotaia non è presente nei depositi, e i treni captano l’energia dalla linea aerea. Operazioni di riparazione e manutenzione, dalle più elementari alle più complesse, sono eseguite nel deposito Precotto. Sono ivi ubicati i sollevatori per il rialzo casse, il tornio in fossa per la profilatura delle ruote dei treni; soprattutto, però, c’è il reparto, in cui, a scadenza ciclica, i treni passano a revisione generale. Gli apparati finiscono smontati e cambiati o revisionati, riverniciati, reimmessi in circolazione come nuovi. Nel deposito Gallaratese ha luogo la manutenzione programmata, in base ai chilometri percorsi dalle varie vetture e riparazioni di assistenza.

 

Piani futuri

Il prolungamento in direzione Nord da Sesto FS a Monza Bettola prevede un percorso lungo 1,9 km; la realizzazione delle nuove stazioni di Sesto Restelleone e Monza Bettola; un interscambio futuro con la Linea 5. L’adiacenza delle autostrade A4, A54 (tangenziale Nord) e della superstrada SS 36 lo profila come un importante polo di interscambio. Alla luce dei 15 mila passeggeri stimati l’ora, è in edificazione un maxi parcheggio da 2.500 posti presso il capolinea. Programmati fin dal 2008, i cantieri sono stati aperti nell’aprile 2011 e la conclusione doveva essere imminente.

Il costo sarebbe stato complessivamente pari a 203 milioni di euro, corrisposti per:

  • il 60 per cento dallo Stato;
  • 8 milioni dal Comune di Monza;
  • 8 milioni dal Comune di Sesto San Giovanni;
  • 8 milioni dal Comune di Cinisello Balsano;
  • il restante dalla Regione Lombardia. 

In realtà, l’opera era stata progettata in vista di Expo 2015. Ma, a distanza di cinque anni, i sestesi sono consapevoli dei ritardi accumulati. E, nella migliore delle ipotesi, non vedranno il completamento prima del 2023. L’inadempimento delle aziende vincitrici degli appalti prima e l’emergenza epidemiologica da Coronavirus hanno assestato un duro colpo. 

Le altre aziende subentrate nei cantieri sono state costrette alla cassa integrazione. Un peccato, anche perché qualche segnale di buon auspicio aveva indotto a sperare nella ripresa delle attività verso metà ottobre. Del resto, la voglia di porre termine a questa odissea c’è. Lo attesta l’ok delle istituzioni per un finanziamento tra: i 15 milioni di euro dal Governo; i 9,2 stanziati dalla Regione Lombardia. 

Intanto, i Comuni di Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni miravano a far partire pure i cantieri in superficie. Il primo era concentrato sull’ex centro commerciale Auchan e sul nuovo intervento Milanord2. Il secondo interessava viale Gramsci e le aree limitrofe, una volta ottenuta l’approvazione del progetto da parte del consiglio comunale. Si prevedeva di concludere i lavori nel giro di un semestre. 

“A inizio luglio –  aveva commentato il sindaco di Sesto San Giovanni Roberto Di Stefano e l’assessore all’Urbanistica, Antonio Lamiranda – abbiamo incontrato i cittadini del quartiere Restellone per aggiornarli sulle vicende dei lavori per il prolungamento della metropolitana rossa”. Per poi aggiungere: “Avevamo promesso che entro fine mese avremmo approvato il progetto esecutivo e abbiamo mantenuto la parola data. Nei mesi scorsi abbiamo diffidato Mm per chiedere il completamento dell’infrastruttura, strategica per tutto il Nord Milano, e la riapertura del tratto di viale Gramsci chiuso da oltre dieci anni con parecchi disagi per i cittadini. Ora tocca a Comune di Milano e Mm mantenere gli impegni presi con l’amministrazione per partire con i lavori di riqualificazione che interesseranno tutta l’area”.

Il Piano di governo del territorio (PGT) del Comune di Monza prevede entro il 2030 il prolungamento:

  • della linea M1 fino alla zona del parco di Monza; 
  • dell’ospedale San Gerardo.

In seguito è stata presa in esame la possibilità di estendere, in alternativa, la linea M5 sino a San Gerardo. Qualora i lavori promessi andranno a buon fine, Monza sarà il capolinea di ben due fermate metropolitane: 

Il piano di fattibilità per il prolungamento da Bisceglie è stato approvato dal Comune di Milano a dicembre 2018. Il tracciato di 3,3 chilometri prevede tre stazioni, provvisoriamente chiamate Valsesia, Baggio e Quartiere Olmi. A ridosso della Tangenziale Ovest, il nuovo capolinea sarebbe realizzato provvisto di un parcheggio d’interscambio. Il via ai lavori è fissato al 2021, con apertura al pubblico nel 2027. Il ministro per le Infrastrutture, Paola De Micheli, ha annunciato, il 15 novembre 2019, lo stanziamento di 210 milioni di euro. Le risorse economiche si aggiungono ai 140 milioni a carico del Comune di Milano e della Regione Lombardia. Tanto comunque passerà dal Recovery Fund europeo.

Il 12 dicembre 2020 la Giunta meneghina ha approvato il prolungamento della linea M1 da Bisceglie a Baggio-Olmi. Il prossimo passo per la concretizzazione del progetto consta nell’approvazione definitiva in programma per il 2021. La priorità di sviluppo del trasporto pubblico concerne l’area a sud-ovest di Milano, seconda solo al bacino della Brianza. Qui sono situati i popolosi quartieri di Baggio, Mengoni, Muggiano, Olmi, Valsesia; i Comuni adiacenti di Cesano Boscone, Cusago, Settimo Milanese; la connessione della SS 114 con la tangenziale per l’ingresso a Milano dei veicoli provenienti dal settore ovest:

  • Abbiategrasso;
  • Albairate;
  • Cisliano. 

Il ramo della M1 sarà prolungato di poco più di 3 km, così da porre in essere altrettante nuove stazioni; nonché collegare alla rete metropolitana comuni, quartieri e viabilità extraurbana. I residenti avranno pertanto modo di non ricorrere all’auto privata o lasciarla alle porte di Milano. 

Si migliorerà, quindi, la qualità dell’aria e si eviterà di congestionare il traffico di quartieri come Baggio, Olmi e Valsesia. Oggi al sistema delle metropolitane sono, infatti, connesse unicamente mediante gli autobus di linea in partenza da Bisceglie. 

Sarà incentivato l’utilizzo del trasporto pubblico locale con l’ampliamento delle infrastrutture disponibili. Infine, non verranno saturati gli spazi di sosta in strada destinati alle Forze Armate e ai residenti di:

  • Bande Nere;
  • Bisceglie;
  • Inganni;
  • Primaticcio;
  • Saint-Bon. 

“Il progetto di prolungamento della M1 da Bisceglie a Baggio prosegue l’iter necessario nei tempi concordati, – dichiara Marco Granelli assessore alla Mobilità -. Nel settembre del 2016 abbiamo acquisito gli 8 milioni del Patto per Milano con il Governo che ci hanno consentito di dare impulso alla progettazione; a dicembre 2018 abbiamo partecipato al bando del Ministero per le Infrastrutture che assegnava risorse per le città in tema di trasporto pubblico di massa e così abbiamo acquisito 210 milioni di euro, a cui il Comune aggiunge 140 milioni di euro per arrivare ai 350 necessari realizzare un’opera importante per decine di migliaia di cittadini di Milano e della Città metropolitana. Ora il progetto ha compiuto un ulteriore passo e si procede verso il definitivo e la gara per affidare i lavori”.

Dall’attuale capolinea Bisceglie della Linea M1 il prolungamento si estende per circa 3,3 km. Sono previste tre nuove stazioni, tutte all’interno del territorio comunale e interrate, quelle di Baggio, Olmi e Parri-Valsesia. Il ramo di linea Pagano-Bisceglie, in esercizio, comprende già sette stazioni, per un tragitto lungo 4,46 km. Con la nuova aggiunta raggiungerà complessivamente 10 stazioni e 8 chilometri; per un totale, sull’intera Linea M1, di 43 stazioni per circa 32 km di estensione. 

Dall’asta di manovra della stazione Bisceglie il tracciato continua lungo la via Parri; passa sotto il canale scolmatore Olona; attraversa il neo quartiere del PII Parri, all’altezza del quartiere Valsesia. A 617 m dall’inizio dell’intervento, è localizzata la prima stazione Parri-Valsesia; che dall’attuale capolinea di Bisceglie dista circa 1 km. Essa sarà raggiungibile agevolmente pure dall’abitato di Cesano Boscone, mediante il centro commerciale. 

Proseguendo sempre lungo via Parri, in direzione ovest, il tracciato percorre circa 900 metri fino alla stazione di Baggio. Sita a ridosso dell’edificio delle Poste, Baggio ha un’ottima accessibilità. Difatti, il centro storico è lontano 500 metri circa. Inoltre, le aree maggiormente popolate dal quartiere sono proprio quelle comprese tra la nuova stazione e il centro storico. Andando avanti la linea piega verso sud, oltre via Sandro Pertini; nel mentre, il breve rettilineo permette di superare il nodo viabilistico del cavalcavia Castrovillari-Luraghi. Dopo 650 metri circa si giunge nel quartiere Olmi. 

Qui la stazione sarà posta lungo via degli Ulivi, all’interno delle aree sportive, che saranno riqualificate. Accedervi sarà facile anche per gli abitanti del quartiere Muggiano, i quali distano circa 800/900 metri; idem per una parte del Comune di Cesano Boscone. Il rettilineo continua per 300 metri circa; prima di piegare verso nord sino al nuovo deposito con funzioni di ricovero del materiale rotabile finora interamente assente. 

Le nuove stazioni saranno raggiungibili pure tramite piste ciclabili, in parte da integrare e in parte già esistenti. Verrà, così, favorito l’accesso diretto anche ai residenti che si trovano in un raggio di 1.000/1.500 m dalla metro. Nell’ambito della sistemazione esterna, il progetto definitivo contempla il bisogno di prevedere:

  • un numero congruo di stalli di parcheggio per bici;
  • o, eventualmente, della possibilità di costruire delle bici-stazioni vere e proprie. 

Come riporta il comunicato diramato dal Comune di Milano sul suo sito ufficiale, le soluzioni sono ancora al vaglio. L’obiettivo è creare un parcheggio di interscambio, direttamente raggiungibile dalla viabilità principale, cioè senza utilizzare quella di quartiere. Il secondo proposito è consumare meno suolo possibile, utile per contenere l’ingente flusso dei veicoli che oggi entrano in città. 

 

ATM Linea Rossa: chi è l’ente gestore?

Di proprietà del Comune di Milano, ATM (acronimo di Azienda Trasporti Milanese) è a capo: 

  • del trasporto pubblico del capoluogo lombardo;
  • in 51 Comuni della Provincia. 

Globalmente copre un territorio con una popolazione di quasi due milioni e mezzo di cittadini. Da più di otto decenni è l’ente di riferimento della mobilità pubblica; la sua storia prende avvio il 22 maggio del 1931, quando l’allora Azienda Tranviaria Municipale diventa autonoma. 

I primi tre decenni sono caratterizzati dall’aumento graduale del trasporto su gomma, sia urbano che interurbano. Nel dopoguerra si assiste a un forte incremento, per soddisfare le nuove esigenze di mobilità provocate dal boom economico. La Linea rossa M1 della metro, sul percorso Lotto-Sesto Marelli, viene inaugurata nel 1964. 

Il primo gennaio 1965 ATM assume la denominazione di Azienda Trasporti Municipali. Nell’ottobre 1969 presenta la Linea verde M2. Nel corso degli Anni Settanta prende il via la sperimentazione dei c.d. jumbotram; in quanto vetture con 250 passeggeri di capienza, sono immessi sulle linee di superficie più affollate. 

Nel 1990 apre all’esercizio la Linea gialla M3. Nel ’99 ATM diventa Azienda Speciale e assume il nuovo nome di Azienda Trasporti Milanese, adottato ancora oggi; nel 2000 integra il primo Eurotram, seguito dal Sirio nel 2002. Diventata Società per Azioni nel 2001, cinque anni dopo il Gruppo ATM è realtà. Attualmente annovera 14 società tra Capogruppo, controllate e collegate. Il Gruppo ha come core business il trasporto pubblico a Milano e nel suo circondario; a cui sono associati i servizi per la mobilità sostenibili, quali la gestione in ambito comunale di:

  • sosta;
  • parcheggio;
  • custodia;
  • rimozione

Non meno significativi il bike sharing, il car sharing e i servizi a chiamata, in città e in area urbana. Dal febbraio 2013 ATM amministra la Linea lilla, la numero 5 della metropolitana, la prima completamente automatizzata, senza conducente. Comunque Azienda Trasporti Milanese è responsabile anche del servizio di metro leggera; dalla stazione Cascina Gobba, collega la M2 con l’ospedale San Raffaele. 

Mediante la Nord Est Trasporti (NET), le compete il servizio di trasporto pubblico nel lotto nord-est delle Province di:

  • Milano;
  • Monza e Brianza.

In qualità di socia di Brianza Trasporti, dirige il servizio di trasporto pubblico urbano nel comune di Monza e nell’hinterland. 

Dal primo luglio 2005 ATM si occupa della funicolare che collega Como a Brunate, impianto di valenza turistica e storica. Dal 2009 svolge il servizio urbano del comune di Segreto (linea 923 e servizio a chiamata). 

Il processo di maturazione e crescita spinge ATM addirittura all’estero. Dal 1° gennaio 2018, attraverso la controllata Metro Service, ha a cura la metro di Copenaghen. La linea, lunga 21 km, è tra le più avanzate al mondo. Completamente automatizzata, ha ricevuto i premi World’s best Metro 2008 e il World’s best driverless Metro nel 2009 e nel 2010. 

Nel 2013 viene inaugurata la Linea M5 da Bignami a Zara; nel 2014 aprono le stazioni di Isola e Garibaldi FS. Il rinnovamento del parco veicolo si traduce nell’acquisto di: 

  • 30 nuovi treno tipo Leonardo per la metropolitana, il primo, a fine 2014, in esercizio sulla M1;
  • 125 autobus Euro 6 per la flotta di superficie, di cui 85 entrati in servizio durante l’anno. 

La Linea lilla è realtà nel 2015 con l’apertura delle stazioni di:

Entrano in funzione 13 treni della metropolitana Leonardo sulla M1 e 6 sulla M2 e, in superficie, 40 autobus Urbino. 

ATM ha realizzato un eccezionale piano di potenziamento per la manifestazione Expo 2015 (1° maggio – 31 ottobre). Ciò ha consentito il trasporto di quasi 12 milioni di passeggeri da e verso lo stand espositivo di Rho Fiera. 

La fornitura dei 30 treni Leonardo, avviata nel 2014, termina nel 2016; il rinnovo della flotta continua con l’acquisto di 15 ulteriori convogli Leonardo perla M2; da fine 2016 è attiva l’opzione per l’acquisto di 15 treni integrativi per la M1 e la M2. ATM si aggiudica la gara per l’amministrazione della Cityringen, la nuova metro di Copenaghen in fase di realizzazione. 

A partire dal 2017 Azienda Trasporti Milanese intraprende il Piano Full Electric. Per la flotta di superficie saranno acquistati esclusivamente mezzi elettrici fino al 2030, dismettendo progressivamente le alimentazioni a diesel. Nel 2018 cominciano a circolare i primi autobus elettrici; nel mentre, proseguono le forniture sia dei bus ibridi sia elettrici e, per la metro, dei treni Leonardo. ATM offre ai propri clienti l’opportunità di viaggiare in metropolitana accedendo direttamente con le carte di pagamento contactless. 

 

Biglietti della Metro Linea Rossa

Sul sito ATM sono riportate le direttive per quanto attiene alle modalità di viaggio, compresa una sezione incentrata sui biglietti. Innanzitutto, il biglietto magnetico occorre convalidarlo: 

  • all’inizio del viaggio; 
  • ad ogni ingresso ai varchi della metro; 
  • ad ogni cambio di mezzo sulle linee di superficie. 

Nelle stazioni della metropolitana è, inoltre, obbligatoria la convalida del titolo di viaggio pure in uscita; salvo indicazioni contrarie evidenziate con apposita segnaletica. 

I titolari di biglietto, acquistato tramite SMS Ticketing o App ATM, hanno modo di convalidare l’uscita:

  • avvicinando lo smartphone ai tornelli muniti di lettore QR Code;
  • stampando il biglietto digitando il codice PNR ai distributori automatici siti nella linea dei tornelli per avere la convalida.  

Per accedere ai varchi, i viaggiatori in possesso di titolo di viaggio cartaceo devono rivolgersi al personale ATM, laddove presente. Oppure attenersi alle disposizioni riportate nei cartelli esposti nelle stazioni. Se il biglietto è scaduto o la tariffa non è corretta per uscire serve un ticket di uscita; che è erogati dai distributori automatici posizionati all’interno della linea dei tornelli. Essi sono esclusivamente accettati per l’uscita dalla stazione presso cui sono stati acquistati; non autorizzano la prosecuzione con mezzi ulteriori. 

Laddove i distributori automatici riportino un guasto bisognerà avvisare il personale ATM e attenersi alle direttive impartite. Coloro che, al momento dei controlli, saranno trovati privi di biglietto di conferma andranno incontro a sanzioni. Sulle tratte urbane di certe linee possono essere in servizio veicoli non attrezzati per la biglietteria magnetica; in tal caso, basta effettuare una tantum la convalida nelle obliteratrici a bocchetta allargata. 

 

Linea Rossa: gli abbonamenti

L’abbonamento consente di viaggiare quando e come si vuole nell’arco temporale di validità prescelto (settimanale, mensile o annuale). È caricato su una tessera elettronica, che ha un costo di emissione di 10 euro ed ha una durata di 4 anni. L’abbonamento annuale o mensile valido dal mese corrente è acquistabile fino al giorno 21. Quelli validi per i successivi sono richiedibili in qualsiasi giorno del mese corrente. 

Per ricaricare il tuo abbonamento sulla tessera elettronica ATM hai tre metodi a disposizione: 

  • su www.atm.it;
  • sui parcometri (l’abbonamento ATM o la tessera RicaricaMi);
  • sui Bancomat (Intesa San Paolo o Unicredit). 

Un caso a parte è la linea M5. Chi ha un documento per la libera circolazione “a vista” o idoneo titolo cartaceo potrà contattare il personale ATM. Usufruendo dei citofoni appositi, presenti in ogni stazione, è possibile richiedere l’apertura del tornello. 

Il titolo va mantenuto integro e conservato con cura, maneggiato ed evitando di forarlo, piegarlo o di avvicinarlo a fonti elettromagnetiche. Il documento di viaggio convalidato, sia cartaceo sia magnetico, è strettamente personale e non cedibile. Va conservato fino all’uscita dalla stazione o all’allontanamento dalla vettura e mostrato a ogni richiesta del personale di controllo. Qualunque comportamento improprio, quale: 

  • la falsificazione
  • l’alterazione
  • l’utilizzo di tessera scaduta 
  • la cessione o l’uso da parte di soggetto terzo della tessera (l’abbonamento è nominativo)

comporterà l’immediato ritiro della tessera dal personale addetto alla controlleria. Il pass sarà inoltre disabilitato e conservato per l’esercizio delle azioni di tutela ritenute opportune. Il titolare della tessera ritirata potrà avanzare presso un ATM Point la domanda di un duplicato, sostenendo gli inerenti oneri. 

Il passeggero sprovvisto o in possesso di un documento non valido viene sanzionato; tuttavia, non pagherà multe, laddove lo presenti entro le ore 12 del giorno seguente alla data di redazione del verbale. 

 

M1 Linea Rossa: schema di rete, orari, tempi di percorrenza

Per muoversi più facilmente a Milano, presso gli ATM Point si può ritirare la Mappa della Rete Metropolitana, altrimenti scaricabile cliccando qui. Il calendario e gli orari sono consultabili qui. L’itinerario è pianificabile dal punto di partenza al punto di arrivo, ad una certa data ed orario, con GiroMilano. Per info utili su validità del biglietto urbano, stazioni, intersezioni e tempo di percorrenza Linea M1 rossa cliccare qui. Per conoscere gli alberghi più vicini accorre in aiuto Google Travel – hotel; si inserisce il luogo di destinazione, la data in cui si intende soggiornare ed il gioco è fatto. 

 

Fermate e punti d’interesse della M1

La Linea Rossa o M1 della metropolitana di Milano, costruita nel 1964, è la prima della città; pone in collegamento la zona a nord-est del capoluogo lombardo. Con capolinea, nel Comune di Sesto San Giovanni, la fermata di Sesto 1° Maggio FS, vede una doppia diramazione: 

  • Bisceglie, nel Comune di Milano, da un altro;
  • Rho Fiera, nel comune di un Rho, dall’altro. 

Incrocia anche le Linee M2 (stazioni Loreto e Cadorna), la M3 ( Duomo) e la M5 (Lotto). Il percorso è esclusivamente sotterraneo. Prima della fermata di Sesto 1° Maggio FS sono ancora in costruzione quelle di Monza Bettola e Sesto Restellone. 

La prima partenza dal capolinea di Sesto 1° Maggio FS è prevista alle ore 5.40 e alle 5.50 da Bisceglie e da Rho Fiera, dal lunedì al sabato. Il servizio comincia alle 6.00 la domenica. Le ultime partenze da tutti i capolinea sono fissate a mezzanotte. In circostanze speciali, è possibile che l’orario di apertura sia prolungato fino alle 2.00. La frequenza tra una corsa e l’altra è di 2/5 minuti. Naturalmente ci riferiamo alla situazione ordinaria, ante Covid.

Il biglietto da acquistare per percorrere l’intera tratta urbana è valido per 90 minuti e costa 2 euro. Permette pure di arrivare a Rho Fiera. È possibile comprarlo presso le biglietterie autorizzate, così come attraverso i propri smartphone. È sufficiente scaricare la App ATM Milano, disponibile sia per i sistemi iOS che per quelli Android. Si può inoltre convalidare il titolo online: accostando l’immagine del QR Code, si aprirà il tornello della metro. In alternativa, si può ricevere il tagliando pure sul cellulare, inviando un sms con su scritto “ATM” al numero 48444. 

La Linea M1 rossa attraversa il centro di Milano, passando sotto al Duomo (dov’è possibile cambiare con la M2). Mediante le fermate di San Babila e Cordusio è possibile raggiungere la Galleria e il Teatro alla Scala; così come il Castello Sforzesco con la fermata Cairoli. La Linea dà inoltre modo di arrivare comodamente a: 

  • Fiera Milano City con la fermata Lotto;
  • Fiera Milano di Rho. 

Tuttavia, al fine di beneficiare del servizio andrà pagato un euro in più rispetto al biglietto urbano. Scendendo a Conciliazione è possibile visitare la chiesa di Santa Maria delle Grazie, dov’è situato il Cenacolo di Leonardo. Questi sono i punti chiave, ma c’è molto altro da sapere sui punti di interesse agevolmente raggiungibili con la M1. Ci soffermeremo a lungo sulle peculiarità di ciascuna fermata e dei posti meritevoli di essere visitati. 

Fermate linea Rossa Metropolitana
Fermate linea Rossa Metropolitana

Sesto 1° Maggio FS 

Parliamo della situazione attuale. Sebbene l’Amministrazione comunale abbia già da anni annunciato la sua “uscita di scena”, Sesto 1° Maggio FS è ancora qui. Operativa in attesa che le istituzioni componenti annuncino il completamento dei lavori di Monza Bettola. Si trova nel Comune di Sesto San Giovanni (confinante con quello di Milano a Nord), in piazza 1° Maggio. Segnaliamo la presenza in prossimità del Palasesto. Chiamato anche Palazzo del Ghiaccio, esso dispone di due piste di pattinaggio su ghiaccio, dove si praticano:

  • il pattinaggio artistico, libero, semplice e sincronizzato;
  • hockey;
  • curling.

In aggiunta si affiancano ulteriori attività sportive, che spaziano dall’arrampicata alla danza, dalle arti marziali al body building. Grazie alla sua estensione, questa struttura ospita fino a 4 mila persone. Il palcoscenico di varie competizioni di livello internazionali, tra cui:

  • il Lombardia Trophy di pattinaggio artistico;
  • la Spring Cup di pattinaggio sincronizzato;
  • il Milan Feis di danza irlandese;
  • il Trofeo Oldrini di judo. 

 

Sesto Rondò 

Rimaniamo nei confini del comune di Sesto San Giovanni. Precisamente Sesto Rondò è situato, in corrispondenza di piazza IV Novembre, in via Roma. Qui siamo nel pieno centro urbano. Nel cuore di Sesto San Giovanni i binari ferroviari dividono la città in due. Il Rondò, cioè Piazza IV Novembre, è la city della città. È una piazza dove si aprono diversi sportelli bancari, ma anche una galleria di negozi di vario tipo. 

Le rotaie sono attraversabili con un sottopassaggio, che storicamente separa Sesto vecchia dalle costruzioni del dopoguerra. Costeggiando dei giardini lungo via Cesare da Sesto, si raggiunge il municipio, realizzato su disegno dell’architetto Piero Bottoni. 

La struttura doppia comprende sia gli uffici amministrativi sia il palazzetto comunale. Entrambe costruzioni allegoriche, il primo, basso e coloratissimo, evoca una fiamma; l’altro, è slanciato e in grigio cemento grezzo. I due differenti corpi di fabbrica hanno destinazioni funzionali a sé stanti; il primo ospita la sala consiliare ed è affiancato da una torre di dodici piani, la sede degli uffici tecnico-amministrativi. Entrambi i fabbricati poggiano su un podio a doppio livello, che ospita un parcheggio sotterraneo; al contempo, generano una piazza civica sopraelevata. Gli spazi pubblici vi si affacciano mediante portici ritmati da colonne in cemento scanalato. Stando alle intenzioni di Bottoni, avrebbero dovuto richiamare l’immagine del broletto medievale. La sala consiliare si rapporta alla piazza tramite un’ampia vetrata continua. 

Le facciate sono rivestite con un ricco mosaico di tessere in ceramica di diverse tonalità, comprese tra:

  • il giallo e il rosso;
  • il bianco e il nero. 

Sono la concretizzazione della teoria sui “cromatismi architettonici” messa a punto da Bottoni. Un tetto a falde inclinate copre tale volume; dal prospetto si stacca tramite l’inserimento di una fascia vetrata posta all’intradosso, lungo l’intero perimetro. 

Sottoposta a una cura particolare è la sala dell’assemblea cittadina, pensata in quanto spazio polifunzionale; arredi fissi e pareti mobili ne consentono la trasformazione in auditorium o spazio per lo spettacolo. Invece la torre è concepita come sovrapposizione in altezza di padiglioni indipendenti. Bucati da aperture verticali, pannelli prefabbricati in cotto scandiscono i fronti maggiori (lievemente inclinati tra una soletta e l’altra). 

Degna di particolare menzione è la singolare tipologia di finestra orizzontale, immaginata dal progettista per permettere di osservare il cielo. Da egli ribattezzata con il nome di “finestra bottoniana”. La sequenza è interrotta, all’altezza del decimo piano, dall’introduzione di un piano vuoto. Già in precedenza Bottoni aveva suggerito simili soluzioni progettuali, per edifici a varia destinazione. I fronti minori della torre sono lasciati in cemento a vista, bucato da una doppia fila di finestre rettangolari. 

In prossimità è ubicata la galleria d’arte Gelmi; organizzatrice del premio annuale Faruffini, è specializzata nel mantenere la memoria delle immagini di Sesto antica. Nei pressi sono poi site le vecchie ville patrizie Zorn, Mylius e Visconti d’Aragona. Oggi sono rispettivamente sede di un ristorante, di un centro botanico e della biblioteca; le cui sale sono impiegate per matrimoni civili.  

Nei primi del XIX secolo la famiglia Marzorati fece costruire villa Zorn, dove visse per oltre mezzo secolo. Il nome venne attribuito dopo, in seguito alla cessione, nel 1870, a Gustav Zorn; il pittore austriaco, discendente da una ricca famiglia, abitava infatti a Milano. Egli arricchì il parco antistante la villa di varietà rare e pregiate di piante. Sul lato nord del parco fece allestire un montagnetta dalla quale si poteva contemplare il paesaggio agricolo circostante.

Villa Zorn ha una foggia neoclassica e la struttura è un impianto a blocco lineare, con la parte centrale più alta. Al piano terra si trova il cuore della struttura: il salone da ballo. Un tempo noto per la varietà di piante, il parco conserva ancora alcune tracce dell’originaria conformazione romantica; per esempio, la fontana all’estremità sud. Attualmente è stato convertito in un giardino pubblico. 

Villa Mylius è una villa nobiliare del Settecento. Si tratta della tipica villa di delizia, nobile dimora suburbana per villeggiature e soggiorni. La costruzione è orientata verso canoni neoclassici, formata da un corpo rettangolare lungo due piani. Dell’originario schema tradizionale a “U” è rimasto unicamente il corpo centrale, mentre delle due ali non c’è più alcun rimando. Nel tempo, accanto al corpo centrale, sono stati eretti due edifici laterali, perfettamente inseriti nell’architettura complessiva. Su uno di questi si erge una piccola torre, a cui ricorse l’astronomo Barnaba Oriani per i suoi studi. Il complesso annovera, inoltre, un giardino botanico di modeste dimensioni.

La villa sorse nel centro dell’allora borgo di Sesto, intorno alla metà del Settecento, su un vasto appezzamento agricolo. Non è dato conoscere la famiglia che ne commissionò la costruzione. All’alba del Novecento, la proprietà passò a Enrico Mylius, che decise di stabilirsi con la famiglia. Mylius era solito ricevere nella dimora esponenti della cultura dell’epoca, attenzione filantropica trasmessa agli eredi. In particolare, la nuora Sophia fece della villa il centro di veri e propri salotti intellettuali. 

Il Comune di Sesto San Giovanni acquistò la villa nel 1921 e ne fece la sede del municipio. Nel periodo fascista sulla balconata si installò una mitragliatrice: un brutale cambiamento sia a livello sociale che architettonico. Allora tanti degli affreschi, dei rosoni dorati, delle decorazioni floreali e degli stucchi finirono sotto una strato di calce. Nel 1954, dalla balconata, l’allora sindaco Abramo Oldrini lesse il documento ufficiale che proclamava Sesto San Giovanni città. Nel prosieguo, villa Mylius divenne prima sede dei vigili urbani e poi sede dell’ISEC (Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea). Nel 2014 si è concluso l’ultimo lotto del restauro conservativo avviato nel 2000.

Villa Visconti d’Aragona è una villa del Cinquecento. Riguardo la data esatta di costruzione della villa, purtroppo si sa poco. Secondo certe ricostruzioni, nel 1532 vi era una casa padronale con corte, orto e pozzo. Con il XVII secolo la proprietà del complesso andò alla famiglia Selvini prima, alla famiglia Malombra poi; e, infine, al conte Carlo di Belgiojoso, che la adibì a tenuta agricola e residenza di campagna. A quei tempi la villa ospitava un torchio e un allevamento di bachi da seta. La svolta culturale accadde con il passaggio alla famiglia Parravicini. Gli interni del complesso si arricchirono al piano nobile di affreschi di pregio.

In parallelo, per volere di Giovanni Antonio Parravicini, si allestì una pinacoteca. Un inventario del 1721 registra come nella pinacoteca fossero raccolte tele raffiguranti nature morte, paesaggi o soggetti di genere; opere di pittori fiamminghi, olandesi, ma anche italiani, della levatura di Caravaggio, Guglielmo il Borgognone e Cesare Da Sesto. La ricca collezione andò definitivamente dispersa, a coprire i debiti delle famiglie che si sono succedute come proprietarie della villa. 

All’inizio del Settecento la villa risultava di proprietà dei Visconti d’Aragona; nel secolo seguente ai Visconti-Borromeo, agli Ottolino-Visconti per poi tornare ai Visconti d’Aragona. Questi ultimi furono costretti a cederla ai propri fattori, la famiglia borghese De Ponti, nel 1873. I De Ponti ripartirono la villa in tre corpi principali: 

  • un’abitazione principale;
  • uno dato in affitto;
  • una filanda, tra le prime di Sesto, manifestazione precoce della sua industrializzazione imminente. 

Nel 1964 il Comune si assicurò il complesso e lo restaurò nel 1980, su progetto dell’architetto Amedeo Bellini. L’intervento si rese necessario in quanto la struttura versava in condizioni statiche precarie; l’intonaco interno sembrava compromesso dall’umidità e gli affreschi furono strappati e ricollocati su nuovi supporti. I locali vennero svuotati e adattati per far fronte al peso dei volumi della biblioteca. Oggigiorno un’ala dell’edificio ospita il CESPI (Centro Studi Problemi Internazionali).

Sesto Marelli

È l’ultima fermata della Linea M1 rossa del Comune di Sesto San Giovanni; da lì in poi si accede a Milano. Posto esattamente al confine con la città meneghina, tra viale Monza e viale Ercole Marelli, ha fermate di autobus all’esterno.

Villa San Giovanni

Inizia l’area della tariffa urbana. Il nome affibbiato è dato dal fatto che si trova nei pressi di un’antica villa dedicata a San Giovanni. Questa zona era un puntino di case lungo lo stradone in direzione Monza, appartenente alla vecchia Precotto. La storia cambiò nel momento in cui, insieme ad altri piccoli Comuni confinanti, venne inglobata dal 1923 nella grande Milano. Si trattava comunque di una frazione piccola, quasi dimenticata; fin quando nel 1964 non aprì la stazione Villa San Giovanni, anziché semplicemente Villa come da progetto. 

In origine, come dicevamo poc’anzi, vi erano poche cascine che costituivano la frazione di Villa. Tra di loro, su viale Monza, al civico 256, è ancora presente la Cascina Mandello San Giovanni. Qui si trovava l’Osteria del Mandel, punto di ristoro irrinunciabile per i viaggiatori (oggi ospita il ristorante Mamma Lina). Dinanzi, in viale Monza 291, è tuttora conservata Ca’ Radetzky, villetta risalente alla fine del XVIII secolo. Morì qui, nel 1892, lo scultore Francesco Barzaghi. A quanto pare vi dimorò pure il celebre generale, al quale si deve il nome della struttura. Probabilmente vi dimorò per un certo periodo, anche se non ci sono fonti ufficiali che ne attestino la veridicità. 

Oggi l’aspetto di Villa San Giovanni è quello di un quartiere moderno, tipico di una periferia sviluppatasi soprattutto a partire dagli Anni 50 del XX secolo in poi. Un edificio caratteristico è senza ombra di dubbio la vecchia palazzina del dazio di viale Monza 335. Trattasi di una palazzina graziosa diventata dal 1988 una delle sedi della società Pane Quotidiano; la succursale distribuisce cibo e vestiario ogni giorno ai bisognosi della zona. Fino al 31 dicembre 1972 era la garitta del dazio di viale Monza. Ai tempi, quando il dazio era di Precotto, vi sorgeva pure il vecchio municipio, in via Bressan. 

Con l’annessione nel 1923 al Comune di Milano, il dazio venne dapprima spostato all’altezza del ponte ferroviario piviale Monza; e poi, nel 1931, in una nuova palazzina cittadina, ammirabile ancora oggi. Qualche discussione a tal proposito è nata per via delle condizioni non impeccabili. Protezioni precarie, baracche e promiscuità non renderebbero onore all’importante funzione esercitata. Sebbene la pretesa non sia di avere un aspetto più civile e consono ad un’associazione no-profit, è richiesta più dedizione. Comuni e Privati potrebbero instaurare una sinergia, atta a migliorare il modo di condividere lo spazio coi cittadini. 

Senza soffermarci poi troppo sulla vecchia dogana, spiccano le graziose case che introducono la via privata Galeno. Via che prosegeo verso la ferrovia e diventa moderna addentrandosi. Più avanti ci si imbatte nella parrocchiale della zona, quella del Cristo Re, su cui ci soffermeremo più avanti. Nella medesima c’è pure un fabbricato, che tradisce la vocazione originaria da cinema. Difatti, al civico 25 di via Galeno aprì l’attività, nell’autunno del 1958, il cinema Giada. Si componeva di una sala da mille posti, dotata di galleria e platea. Il nome assegnato, semplice e diretto, richiama la pietra minerale verde; usata spesso come ornamento, alcuni vi attribuivano qualità terapeutiche e magiche. Come molti, il cinema chiuderà nell’autunno 1983. 

Opportunamente ristrutturato, il cinema Giada assunse le sembianze di una chiesa, frequentata dalla comunità filippina, chiamata Iglesia Ni Cristo. Proprio davanti al Giada, nacque all’epoca il cinema parrocchiale Cristo Re (oggi Teatro Villa), facente parte dell’omonima chiesa. 

Il palazzo più spettacolare e importante, posto ad angolo fra le vie Fortezza e Doberdò, è gli Attici. Progettato da Arkpabi – Palù & Bianchi architetti. La particolarità dipende dalla libertà espressiva e dall’originalità dello stile architettonico scelto. Le terrazze disposte in ordine casuale, le ampie, coloratissime, vetrate e i corpi aggettanti hanno conferito riconoscibilità. 

Composto da tre piani destinati ad autorimesse e sei livelli superiori dedicati alle abitazioni, l’edificio rifugge dai canonici schemi abitativi. Al gruppo di edifici interessanti se ne è recentemente aggiunto uno in via Vipacco 38. Insomma, è corretto parlare di un quartiere all’avanguardia, in cui cova il desiderio di sperimentare. Un esempio è in via Eraclito 3, realizzato dallo studio Lpzr nel 2009. 

Nella parte est di viale Monza ci sarebbe stato, secondo i piani originali, il Villaggio Giardino; l’intenzione era di costruirvi delle strade ortogonali, lungo cui sviluppare un borgo fatto di villette. Qualcuna venne realizzata, tante altre no. In via Eraclito era ubicato lo stabilimento produttivo della crema Nivea. Quasi al confine col Comune di Sesto San Giovanni, svetta la Torre Porto Corsini. Non molto distante stanno giungendo a completamento i lavori riguardanti il piccolo complesso di via Recanati. Tornando sul lato ovest del quartiere cattura gli sguardi la facciata post-moderna del GE Medical Systems Italia. 

Ed eccoci alla parrocchia del Cristo Re. L’incremento nella zona della popolazione, e l’espansione urbanistica nei primi Anni 60 del XIX secolo, ebbe conseguenze. La curia sdoppiò l’antica parrocchia di Precotto e l’8 agosto del 1965 venne inaugurata la nuova parrocchia del Cristo Re. Tra il 1967 e il 1970, venne eretta in via Galeno, su progetto degli architetti Mino e Claudio Buttafava. La cosacrò Cardinal Giovanni Colombo. 

La chiesa, orientata a nord-est, è anticipata da un sagrato definito dall’incrocio delle vie tra cui il complesso sorge. La distingue un impianto centrale, la cui razionalità interna è dichiarata dal sinuoso andamento delle pareti perimetrali; le quali vanno a creare tre portoni di ingresso. Di questi, un’ampia scalinata anticipa quello centrale; un effetto evidenziato dalla strombatura delle pareti, a creare una specie di invito nella porzione centrale della facciata. 

All’interno scandisce la chiesa ad unica navata una doppia fila di pilastri portanti orientati verso uno dei due centri dell’ellissi. Il presbiterio, ad impianto centrale, vi sorge intorno, rialzato rispetto alla navata di qualche gradino. La parete di fondo e i setti muri portanti sono in cemento a vista, tinteggiato di bianco; mentre le pareti perimetrali sono in laterizio a vista. 

Tre altezze differenti caratterizzano la chiesa:

  • in alto una cupola ribassata, impostata su un elevato tamburo circolante, conclude il presbiterio;
  • lo spazio dell’aula vera e propria;
  • in basso l’ingresso e il deambulatorio, sul quale si aprono pure i confessionali lignei incassati in nicchie ricavate nella muratura. 

Una serie di finestrature si aprono in ogni cambio d’altezza. Ad interromperle esclusivamente gli elementi portanti della copertura che salgono dalle murature perimetrali, senza soluzione di continuità. Sul fondo dell’aula una parete in cemento a vista scherma l’altare maggiore. Al di sopra è collocato un mosaico monocromo raffigurante Cristo, opera di Mino Buttava, dietro era prevista la sacrestia. 

Uno spazio rettangolare adibito a cappella feriale si sviluppa nella zona retrostante il presbiterio, sul fianco sinistro. Sulla destra il fonte battesimale è contenuto in una nicchia emiciclica. Sottostante alla chiesa, l’oratorio è parzialmente collegato con l’adiacente casa parrocchiale. 

Infine, nella parte sud del quartiere, in via Frigia, c’è un grande lotto vacante in attesa di essere sfruttato. I vecchi capannoni industriali avrebbero dovuto lasciare posto a una piazza pubblica, un parchetto, delle residenze e un parcheggio. Dal 2010 il programma è sospeso, per un generale stato di abbandono. 

 

Precotto

Posta l’omonimo quartiere e sotto viale Monza, compare nelle scene iniziali del film di fantascienza I cannibali. Nei dintorni vi è sia una fermata di autobus che del tram linea 7. L’analisi parte dalle due parole che compongono Precotto: còtt e pre. Còtt è cotto. Non ci piove. È il pre a stimolare la fantasia. 

Come è facile intuire, tale area nella parte settentrionale di Milano era tutta campagna. Dunque, una periferia fatta di terra e prati. Nel dialetto locale si dice pree. Dunque, era una zona di prati arsi, magari bruciati da rinnovare per i pascoli o fare foraggio. Una seconda versione appartiene alla legge: quella di un pe come prete, cotto. Già, sembra che in un’epoca indefinita sia arso qui vivo un sacerdote. La terza versione vuole che intorno alla metà del XII secolo esistesse un toponimo, pulcoctum o Pullum Coctum. Ma nel 1200 si aggirava pure un certo Precogi, latino ecclesiastico Praecautum. Probabilmente la tesi esatta. 

Gorla

La fermata della metropolitana Gorla, situata nell’omonimo quartiere milanese, è stata costruita, come la maggior parte della linea, nel 1964. Anche in questo caso, all’esterno ci sono fermate di linee autobus. Per le atmosfere particolarmente romantiche e l’incantevole bellezza, il borgo viene spesso ricordato come “la piccola Parigi di Milano”. 

Ancora oggi, non è complicato comprendere il perché di questo ardito paragone. Difatti, passeggiando tra le sue vie e i suoi giardini, lungo le rive della Martesana, emerge chiaramente il suo fascino. Esempio di importante centro rurale, il borgo di Gorla conobbe un rilevante sviluppo quando vi fu realizzato il Naviglio. 

Fin da tempi lontani, i milanesi frequentavano abitualmente il grazioso villaggio per trascorrere rilassanti momenti di riposo domenicale. Ed ha conservato la sua natura di vera e propria oasi di campagna. Data la sua vicinanza al centro urbano, è la meta ideale per godersi una piacevole giornata lungo il naviglio. I piaceri della sana e buona tavola sono una costante. Chi è in cerca di panorami e scorci utili ad immaginare la Milano perduta, dovrebbero farci un salto. 

Naturale pensare ai suoi lunghi viali, percorsi da carrozze che procedevano in direzione della amena campagna e delle acque. Tra i vari luoghi che ispirano interesse, è degno di nota il Monastero delle Clarisse, realizzato da Giovanni Muzio. Così come il Ponte Vecchio sulla Martesana, il Vecchio Municipio, i tempi della Notte e dell’Innocenza in Villa Finzi. La stessa Villa Singer costituisce una fulgida rappresentazione dello stile liberty.

Nella visita vi è un luogo in cui la piacevolezza viene adombrata. Il monumento ai Piccoli Martiri è una testimonianza della tragedia immane che colpì il borgo durante la Seconda Guerra Mondiale. Correva il 20 ottobre del 1944 quando fu tristemente protagonista di una sanguinosa azione da parte dei bombardieri statunitensi. Nel corso di una massiccia opera di distruzione in pieno giorno, alcuni ordigni colpirono l’abitato. Una bomba centrò, peraltro, la scuola elementare, provocando la morte di venti adulti e quasi duecento bambini. Lo scultore Remo Brioschi, a memoria di quella immagine tragedia, realizzò il monumento ai Piccoli Martiri di Gorla. 

Turro

Sempre sotto viale Monza, la fermata Turro serve l’omonimo quartiere meneghino. Da un punto di vista architettonico, è rinomata la parrocchia di Santa Maria Assunta. È una delle più antiche parrocchie costruite fuori dalle mura della città vecchia. L’antica chiesa fu edificata intorno alla fine del XVI secolo; ora sulle fondamenta sorge quella moderna, la cui prima pietra è stata posata intorno al 1805. Sebbene non ancora ultimata, fu consacrata nel 1886. 

Rinnovata in stile neoclassico nel 1926, la facciata presenta tre navate sorrette da colonne. In precedenza il pittore svizzero Cermine vi eseguì alcune decorazioni; che Cesaro Maroni concluse nel 1908 con gli affreschi della cupola e dell’abside. Nel 1927 ebbero luogo ulteriori lavori, compreso il rammodernamento della cappella della Madonna di Caravaggio, affrescata da Emilio Tornaghi. Nel 1952 Ottavo Cabiati curò un ampliamento radicale della struttura, arretrando l’abside. 

La chiesa possiede un pregevole crocifisso in legno ed un prezioso stendardo del Seicento con fini ricami d’oro. Adiacente alla Chiesa, su quella che era la vecchia area del cimitero, sorgeva l’Oratorio. Che fu poi mosso e dunque ricostruito ex novo alla sinistra dell’edificio ecclesiastico. Nel settembre 2010, per volere del nuovo parroco, si concluse, adiacente al luogo di culto, la costruzione di una cappellina. Collocata nei locali dell’ex bar del vecchio oratorio, è dedicata a San Giuseppe lavoratore. 

All’interno dell’Opera Salesiana San Domenico Savio vi è il Collegio Paolo VI,un collegio per studenti universitari. La desiderò Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano, da adibire a luogo per la comunità cristiana nel quartiere. Nel 1964 Montini, divenuto papa con il nome di Paolo VI, benedisse la prima pietra dell’opera. Il progetto contemplava una parrocchia, un oratorio e una palestra; nonché un centro per giovani, costretti ad allontanarsi da casa per lavorare nei grandi stabilimenti industriali in periferia. 

Nei propositi del cardinale, la gestione sarebbe spettata ai Salesiani di don Bosco. Con i loro modi familiari e la pratica del sistema educativo del padre fondatore, gli sarebbe toccato costituire una comunità. Un punto di ritrovo in cui coltivare amicizie profonde, crescere e confrontarsi, sostenendo i giovani nella formazione e professione. Tale funzione viene oggi svolta da un’équipe di formatori, composta da salesiani e professionisti, che amministrano e animano il Collegio. 

Sulla sponda sud del Naviglio Martesana si affaccia il Parco Martiri della Libertà Iracheni Vittime del Terrorismo o Parco Martesana. Istituita nel 1978 a parco, è un’area avente un’estensione di 12 ettari circa. Attraversando vari Comuni dell’hinterland, giunge, costeggiata sia dalla pista ciclabile che dall’Adda, al Parco Sempione, nel cuore di Milano. Abbandonato al degrado negli anni, un anfiteatro all’aperto è attualmente oggetto di riqualificazione. 

Rovereto Milano

In viale Monza, all’angolo con via Rovereto, la fermata dispone di un’edicola e di un negozio di abbigliamento. 

Pasteur

In viale Monza, all’angolo con via Pasteur, parte un binario di raccordo con la stazione di Caiazzo (linea M2). 

Loreto

Sita nei pressi di piazzale Loreto, da cui prende anche il nome, fa da interscambio con la linea M2 (Verde). All’esterno ci sono fermate di linee di autobus e dei filobus 90 e 91. Se si parla di Loreto, più che parlare di presente è doveroso parlare di futuro, di quello che sarà. Come stabilito dall’Amministrazione locale, sarà la prossima a subire un processo di trasformazione urbana.

C’è l’impressione che avrà attuazione una riqualificazione totale di uno dei luoghi-simbolo della città meneghina. Difatti, è una delle sei porte d’ingresso – insieme a Corvetto, Lotto, Maciachini, Romolo e Trento – inserite nel PGT. La Giunta le ha, ovvero, indicate nel nuovo Piano di Governo come “luoghi del cambiamento urbanistico”.

Mentre scriviamo il piazzale mantiene una configurazione come elemento di cesura, dominato dal traffico, fattore che inficia sulla qualità urbana. La scarsa fruibilità del verde e l’assenza di attraversamenti pedonali ne sono la conseguenza. Nei piani futuri, il piazzale Loreto è visto a mo’ di cerniera tra il centro e la periferia. La disciplina urbanistica è volta a favorire investimenti per il riassetto dello spazio pubblico. 

Il sito è composto da un edificio di otto piani fuori terra lungo via Porpora, oggi sede di uffici comunali. Il sistema di gallerie con negozi, uffici, locali tecnici e magazzini è distintivo. I professionisti chiamati al rinnovamento avranno l’onere di prevedere una efficiente riorganizzazione della viabilità; improntata a ricucire gli spazi pubblici con quelli delle vie limitrofe.

La rinascita di Piazzale Loreto è accompagnata dalla ristrutturazione del Palazzo di Fuoco commissionata ai GBPA Architects. Costruito su progetto di Giulio Minoletti e Giuseppe Chiodi, si tratta di un edificio con:

  • struttura in calcestruzzo armato;
  • facciate esterne continue in alluminio anodizzato. 

Gli impianti, alquanto avanzati per l’epoca comprendono:

  • il riscaldamento a pannelli radianti posti sotto i pavimenti;
  • le tende veneziane ad azionamento elettrico;
  • la climatizzazione di ogni ambiente;
  • un sofisticato impianto di illuminazione notturna colorata, da cui la denominazione assegnata.

Il concept prevede la sostituzione degli infissi esistenti con moduli vetrati. Evolute tecnologie LED saranno implementate, andando a sottolineare la funzione originaria di informazione del complesso. Con il vetro come scelta materica gli architetti avranno pieno controllo della permeabilità e trasparenza. La soluzione finale, accostata a giochi d’acqua ed elementi green, richiamerà lo stile “Times Square”.  

Lima M1

Sotto piazza Lima, si trova a metà di corso Buenos Aires, celebre zona soprattutto tra gli amanti dello shopping. 

Porta Venezia

Situato nei pressi della porta da cui attinge il nome, è uno degli snodi ferroviari più importanti della città. Funge infatti da interscambio con il passante ferroviario e con la fermata di Milano Porta Venezia. Vi si fermano pure le linee di tram 5, 9 e 33. 

Pur essendo alquanto vicina al centro, Porta Venezia resta un quartiere con una profonda identità propria. Lontana dalle mete turistiche, eccezion fatta per qualche bar alla moda e locale interessante. In una traversa laterale di Corso Buenos Aires sono visibili i resti del lazzaretto manzoniano: “S’immagini il lettore il recinto del lazzeretto, popolato di sedici mila appestati; quello spazio tutt’ingombro, dove di capanne e di baracche, dove di carri, dove di gente; quelle due interminate fughe di portici, a destra e a sinistra, piene, gremite di languenti o di cadaveri confusi, sopra sacconi, o sulla paglia; […] e qua e là, un andare e venire, un fermarsi, un correre, un chinarsi, un alzarsi, di convalescenti, di frenetici, di serventi”. 

È sufficiente alzare gli occhi al cielo per ammirare le decorazioni liberty che abbelliscono i palazzi. Ristoranti etnici e culture diverse si fondono in maniera armonica. Russia, Eritrea, Etiopia, Giappone e Cina sono solo alcuni dei Paesi che hanno contaminato la zona. Un punto di riferimento per chi vuole mangiare o provare ristoranti di altre nazionalità. 

Ciononostante è altresì facile imbattersi in un ristorante raffinato o in una trattoria italiana alla vecchia maniera. Emana fascino il quadrilatero del silenzio con alcuni dei palazzi meneghini più belli (compresa Villa Invernizzi) e NoLo. Acronimo di North of Loreto, la spinta dal basso all’integrazione e al miglioramento è inebriante.

I Giardini di Porta Venezia o Giardini Pubblici Indro Montanelli sono una bellissima oasi di pace e tranquillità. Inaugurati nel 1784 per volontà dell’allora viceré di Milano, hanno aumentato considerevolmente la loro importanza; tant’è che oggi sono il secondo polmone verde di Milano, subito dietro Parco Sempione.

All’estremità meridionale dei Giardini, la Galleria d’Arte Moderna svetta in tutta la sua imponenza. Negli spazi della incantevole Villa Reale di Milano, è esposta la più importante collezione di opere ottocentesche della Lombardia. Se l’edificio, un perfetto esempio di neoclassicismo italiano, vale già la visita, le opere contenute sono eccezionali. Tra gli artisti, porta impresse le firme degli artisti Boccioni, Boldini, Canova, Hayez, Modigliani, Pellizza da Volpedo e Picasso. 

A pochi metri di distanza è presente il PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea. Lo spazio pubblico nacque per rispondere all’esigenza di ampliare quanto già esposto dalla GAM. Con lungimiranza intercettò nuove forme artistiche e vi diede risalto. Pertanto vennero riconvertite, nel ’48, le ex scuderie della Villa Reale. 

Oggi il PAC accoglie solamente esposizioni d’arte temporanee. Che maggiormente si presta all’interpretazione di chi la osserva, accompagnando e stimolando lo spettatore nella riflessione. Inoltre, la sede è impiegata per ospitare una miriade di eventi. Curiosità: Animal Factory, il murale che decora la facciata del PAC, è stato dipinto da Ericailcane e da Blu. I due hanno dato vita a un’opera controversa nel 2008, che ha seriamente rischiato la cancellazione. Difatti, il muro raffigura una sorta di girone infernale estremamente ordinato. 

A popolarlo creatore, bestie e uomini, che si rivolgono e adorano la montagnola bianca al centro. La montagnola simboleggia ciò che gli artisti definiscono l’oro bianco della città: la cocaina. I personaggi compiono ogni tipo di abominio per poterla avere. Il titolo assegnato è un omaggio al capolavoro di George Orwell. Viene unicamente impiegato il bianco, che rende tutti i soggetti simili, protagonisti della medesima generazione. 

Tappa obbligatoria per tutti i bambini milanesi, il Museo Civico di Storia Natale è la prima architettura museale italiana. Fino al 1888, anno in cui questa bellissima struttura è stata costruita, i musei venivano ospitati in edifici appositamente convertiti. Tra fauna e flora il museo conta quasi 3 milioni di pezzi esposti, oltre ai cento diorami. Si tratta di ricostruzioni di ambienti naturali, estremamente dettagliati. Ciascun animale esposto è impagliato o tassidermizzato; in parte proviene dall’ex zoo di Milano, chiuso nel 1992, collocato proprio dentro ai Giardini di Porta Venezia. 

In prossimità fa bella mostra di sé il complesso che accoglie, dal 1930, il Planetario di Milano. L’esterno, che rimanda ai tempi greci, custodisce una ampia sala di proiezione. Sono ivi organizzate conferenze, eventi di divulgazioni e osservazioni guidate del cielo. In particolare, questi ultimi sono consigliatissimi a chi per la prima volta si approccia all’astronomia. 

La macchina, chiamata appunto “planetario”, riproduce la volta celeste. Ai bambini sono espressamente dedicati appuntamenti e laboratori. Il progetto è opera del Portaluppi, amante dell’astronomia, che ideò anche Villa Necchi Campiglio. 

Infine, Palazzo Dugnani è una vera gemma. Concepita come dimora nobiliare, ospitò per primo il Museo di Storia Naturale, nel 1800. La ricchezza degli interni, in stile rococò e barocco, testimoniano il suo passato glorioso. In precedenza, quando era di proprietà della famiglia Dugnani, erano cornici di ritrovi e feste di intellettuali. Il Tiepolo ha completamente affrescato il salone principale. Purtroppo, Palazzo Dugnani è visitabile esclusivamente in occasioni di mostre contemporanee organizzate dal Museo di Storia Naturale. La facciata porticata, che si apre sui Giardini, ha comunque un colpo d’occhio notevole e giustifica la passeggiata. 

Palestro

Sotto corso Venezia, all’angolo con via Palestro, la fermata è poco distante anche dalla successiva stazione di San Babila. 

San Babila

Fino ad ora, questa stazione fa solo parte della linea Rossa, ma in futuro dovrebbe anche rientrare nella M4. Si trova nei pressi dell’omonima piazza, nel cuore dello storico centro urbano. 

In via Mozart, non lontano dalla piazza, si trova Villa Necchi Campiglio. Costruita nel 1930, come già detto, dall’architetto Piero Portaluppi, fu successivamente donata al FAI (Fondo Ambiente Italiano). Dopo alcuni lavori di restauro, è stata finalmente aperta al pubblico. All’interno custodisce arredi raffinati e materiali di pregio, tra cui marmi preziosi. Presenta un giardino meraviglioso, con grandi magnolie, piscina e campo da tennis. La residenza dei sogni per lo stile di vita mondano condotto dall’alta borghesia dell’epoca. 

Appena dietro San Babila, in via Cino del Duca 8, sorge il Palazzo Visconti. Nato nel Seicento come Palazzo Bolagnos, su disposizioni di un nobile spagnolo, ha cambiato natura negli anni. Da casa nobiliare è infatti passato a essere casa da reddito; luogo di ritrovo di società segrete e manifatturieri; fino a tornare, grazie alla famiglia Visconti, alla sua origine di palazzo nobiliare. 

Nell’Ottocento i Visconti di Grazzano lo acquistarono, facendone la loro reggia. Tra i numeri ospiti si ricordano Apollinaire, Manzoni, Mozart e Verdi. 

Già il secolo prima Palazzo Visconti rappresentava un luogo unico nel suo genere. Ciò per via del suo stile esuberante, in confronto agli altri complessi abitativi. La suddivisione in tre piani è una particolarità che può essere notata sin dall’esterno; dal balcone irregolare che sormonta il portone e dai diversi timpani posti sulle finestre. File di colonne formano, in cortile, un portico che, con una piccola grotta artificiale, si affaccia sul secondo cortile. La magnificenza del luogo è trasmessa dai minimi dettagli. Ad essi si accede mediante uno scalone d’onore formato da due rampe con motivi arabeschi e balaustre di marmo. 

All’interno il palazzo si sviluppa su cinque differenti sale:

  • Sala Gentildonna;
  • Sala Hall;
  • Sala Presidenza;
  • Sala Specchiera;
  • Sala Visconti.

Sala Visconti è il centro di tutte quante. Una volta era il salone da ballo, progettato dall’architetto Alfredo Campanini, su commissione del duca Giuseppe Visconti di Modrone. 

La fantastica location, rimasta pressoché immutata al suo interno e ricca di affreschi, è oggi proprietà di SoCrea. Che lo gestisce e si occupa dell’organizzazione di vari eventi, tra cui cerimonie private, eventi aziendali, presentazioni, shooting e sfilate. 

Un altro punto di interesse è la Basilica di San Babila. La tradizione narra che a fondare la diocesi milanese fu San Babila, e per questo egli è un Santo importante per la città. 

Un tempo la Basilica di San Babila era ritenuta la più importante, dopo il Duomo e la Basilica di Sant’Ambrogio. In ogni caso, la struttura si colloca tra le più antiche chiese di Milano. Il primo a descriverla, nel V secolo, fu l’arcivescovo Lorenzo: allora venne intitolata a Concilia Sanctorum. Il luogo su cui sorge l’attuale chiesa era quello di un tempio pagano. In principio era studiata per avere una facciata più antica e linee romaniche. Quella, invece, realizzata da Paolo Cesa Bianchi ha uno stile neo romanico. 

Alle spalle dell’edificio si nota immediatamente il campanile, originario del 1820, che ha subito molte modifiche e restauri nel prosieguo. La sua particolarità risiede nel fatto che un tempo suonava lo stesso tema proveniente dal Big Bang londinese. L’interno è ripartito in tre navate e la ricchezza di ornamenti è notevole. Entrati nella prima cappella, a sinistra, è presente un richiamo al Manzoni. Egli fu, infatti, battezzato fra tali mura nel 1785. 

Duomo Milano Linea Rossa

Sia per la vicinanza al Duomo che alla Galleria Vittorio Emanuele II e al Teatro La Scala, è molto frequentata. Questa fermata funge da interscambio tra la linea M1 e M3. Vi si fermano pure le linee dei tram 2, 3, 12, 14, 16, 24 e 27. 

Vivace e dinamica, Piazza Duomo offre innumerevoli possibilità: ammirare splendide architetture e uno splendido museo; visitare negozi esclusivi sotto una spettacolare volta di ferro-vetro al salire sul tetto della cattedrale per gustarsi il panorama. Milano, che non ha mai smarrito la sua forma circolare, vi riconosce il proprio centro gravitazionale. Geometrico e geografico, ma anche umano e ideale, caratterizzato da attività interessanti. Il sagrato del Duomo, lo spazio sacro davanti alla chiesa cattedrale, è assai ampio, agevole da passeggiare e fotografare.  

Piazza del Duomo, unita a Galleria Vittorio Emanuele II, è luogo iconico per eccellenza del capoluogo lombardo. Con la sua forma rettangolare, è tra le più grandi d’Italia. La compongono un’imponente facciata del Duomo, la statua di Vittorio Emanuele II e una serie di architetture, quasi a cornice. 

Giuseppe Mengoni progettò Piazza Duomo, poi aperta nel 1865. 

Ma sin da epoche remote era stato il perno cittadino. Difatti, durante l’invasione dei Celti, la piazza, ancora inesistente, era il luogo dove si amministrava il potere civile e religioso. Anche i romani usufruirono dello spazio per venerare gli Dei, costruendo un tempio per Minerva. Quando li sostituì il Dio cristiano, sorsero la Basilica di Santa Maria Maggiore e la Chiesa di Santa Tecla. Strutture distrutte in seguito per fare spazio all’attuale Cattedrale Arcidiocesi.

La piazza è inoltre il luogo dove oggi sorgono alcuni dei più importanti monumenti meneghini. Oltre al Duomo, si pensi al Palazzo Arcivescovile e alla Galleria di Vittorio Emanuele II.

I portici collegano il palazzo dell’Arengario, sede del Museo del Novecento. E la sala all’ultimo piano è probabilmente il punto migliore per fotografare Piazza Duomo. Favoriti da un’installazione luminosa, le persone sembrano dall’alto piccole figure di un quadro futurista. 

Al centro della Piazza, in linea col portone principale di accesso al Duomo, svetta la statua equestre di Vittorio Emanuele II. Su commissione di Umberto I in ricordo del padre, la realizzò, verso gli Anni 70, lo scultore Ercole Rosa. Tuttavia, non fu collocata prima del 1896 al centro della piazza. Nel bel mezzo delle operazioni, Ercole Rosa morì e, sotto la direzione di Ettore Ferrari, le conclusero i fratelli Barzaghi.

Dà il nome all’intera piazza ed è l’edificio simbolo di Milano. Il Duomo, costruita per volere di Gian Galeazzo Visconti e dedicato a Santa Maria Nascente, è imperdibile. Tra le più grandi chiese gotiche mai costruite, in apparenza risulta compatto. Probabilmente effetto del totale e stupendo rivestimento in marmo di Candoglia, proveniente da una cava sul Lago Maggiore. 

Al contrario di quanto si possa immaginare, il Duomo di Milano è stato realizzato in oltre cinque secoli. Ha cambiato stile almeno tre volte e la più recente facciata a “triangolo” ha appena due secoli. Nel 1386 un duca della dinastia Visconti vi posò la prima pietra; mentre l’ultima porta in bronzo è stata fusa una cinquantina d’anni fa. Tendendo fatalmente a invecchiare, è una storia infinita. Il perenne passaggio dei treni della metro aveva messo a rischio la stabilità della chiesa negli ultimi sei decenni. Di conseguenza, si è reso indispensabile apportare radicali modifiche con lunghi lavori strutturali. 

Il grande romanziere francese Stendhal, che di Milano si era innamorato, la descrisse così: “5 novembre 1816. Tutte queste sere, verso l’una di notte, sono tornato a vedere il Duomo di Milano. Illuminata da una bella luna, la chiesa offre uno spettacolo incantevole ed unico al mondo.

Mai l’architettura mi ha dato sensazioni simili. Questo marmo bianco lavorato a filigrana non ha certo né la magnificenza né la solidità di San Paolo di Londra. Alle persone nate con un certo gusto per le belle arti dirò: «Questa architettura fantasiosa è un gotico senza l’idea della morte; è la gaiezza di un cuore melanconico; e, poiché quest’architettura destituita di ragione sembra fatta dal capriccio, essa s’accorda con le folli illusioni dell’amore. Mutate in pietra grigia il marmo scintillante di bianchezza, ed ecco ricomparire tutte le idee di morte». Ma queste cose al volgo sono invisibili e lo irritano. In Italia, volgo è la minoranza; in Francia, l’immensa maggioranza.

La facciata semigotica del Duomo non è bella, ma graziosa assai. Bisogna vederla illuminata dalla luce rossastra del sole cadente. Mi dànno per certo che il Duomo, dopo San Pietro, è la più vasta chiesa del mondo, compresa Santa Sofia.

Sono andato a fare una passeggiata in sediola a Marignano, il campo della gloria di Francesco I, sulla strada di Lodi. La sediola è come una poltrona collocata sull’asse che unisce due ruote molto alte. Si fanno tre leghe l’ora. Al ritorno, vista straordinaria del Duomo di Milano, il cui marmo bianco, elevandosi su tutte le case della città, si staglia sulle Alpi bergamasche e sembra toccarle, benché ne sia separato da una pianura di trenta miglia. A quella distanza, il Duomo è perfettamente bianco. Questa complicatissima opera del lavoro umano, questa selva di guglie di marmo, accentua l’effetto pittoresco dello stupendo sfondo delle Alpi che si staglia nel cielo.

Non ho mai visto nulla al mondo di più bello del panorama di quelle cime coperte di neve, viste da venti leghe di distanza, mentre tutti i monti più bassi restano di un bellissimo azzurro scuro”.

Il bianco è mantenuto attraverso una certosina opera di impalcatura e parziale copertura affinché la pulizia risulti (relativamente) agevole. Vale il medesimo discorso per quanto concerne le terrazze e le scalinate che conducono in alto, fino quasi alla Madunina. Periodicamente vengono pulite e lucidate da professionisti specializzati. Dall’interno è concesso scendere nel sottosuolo del sagrato, a visitare i resti sotterranei. Sorprendentemente ampi, essi sono il lascito delle chiese che, in età tardo-romana e medievale, hanno preceduto il Duomo. 

Le terrazze del Duomo di Milano affascinano da sempre i turisti e gli abitanti. Per ammirarle, fotografarle, toccarle occorre prendere l’ascensore seicentesco oppure salire i 180 scalini, ripidi e pure un po’ angusti. Eretta sulla guglia maggiore nel 1774, l’occhio protettivo della Madonnina dorata si rivela colossale da vicino. Le lastre di rame, sbalzate e dorate, sono sorrette da uno scheletro oggi in acciaio inossidabile. 

Atta a collegare Piazza Duomo e Piazza della Scala, la celebre Galleria Vittorio Emanuele II fu costruita nel XIX secolo. In quel frangente storico Milano guardava le altre capitali europee con invidia e desiderava esserne all’altezza. Oggi è ritenuta il salotto meneghino con i suoi celebri bar e rinomati negozi. Vetrate, pavimenti policromi, vetrine, grandi mosaici alti nell’Ottagono centrale, il toro quasi al centro della pavimentazione… semplice innamorarsene a primo sguardo! 

Alla Galleria è, inoltre, legata una delle tradizioni di Milano, che i turisti osservano divertiti. Per avere fortuna, bisogna ruotare su sé stessi per tre volte, col tallone destro puntato sulle “parti intime” del toro. 

Nella Galleria Vittorio II pullulano negozi di marchi e firme prestigiose. Alcuni la considerano il proseguimento naturale del quadrilatero della moda. Nel momento di costruirla, il capoluogo lombardo era ancora sotto la dominazione austro-ungarica. L’edificio corse il rischio di chiamarsi Galleria Francesco Giuseppe, ma la scelta ricadde sul primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II. In occasione di Expo 2015, la Galleria è stata completamente restaurata; a corredo, l’apertura della nuova Feltrinelli e del Mercato del Duomo. 

Lo abbiamo già menzionato ed è ora venuto il momento di conoscere meglio il Museo del Novecento. All’interno del Palazzo dell’Arengario, ospita una collezione di oltre 4 mila straordinarie opere di arte italiana del XX secolo. Inaugurato al pubblico il 6 dicembre 2010, il museo nasce proprio con l’intenzione di tramandare la conoscenza del Novecento. Le collezioni milanesi sono valorizzate, mediante una migliore e più ampia visione. Accanto all’attività espositiva, il museo esercita altre funzioni. È, infatti, impegnato nell’opera di promozione, studio e conservazione del patrimonio artistico e culturale italiano del XX secolo. L’obiettivo è coinvolgere un pubblico vasto ed eterogeneo. 

Il progetto di ristrutturazione del 2010 ha consentito di ottimizzare l’uso degli spazi. Cifra architettonica più significativa la grande rampa a spirale. Un elemento funzionale che pone in connessione vari piani della torre, dal livello della metro alla terrazza sul Duomo. Lungo la rampa elicoidale ad accesso gratuito, è dedicata una sala al Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo; poi l’omaggio alle Avanguardie Internazionali, con dipinti di Georges Braque, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Amedeo Modigliani e Pablo Picasso. 

Intitolato a Lucio Fontana, l’ultimo piano dell’Arengario, Sala Fontana. Osservare il Duomo dalle ampie vetrate della sala, circondati dalle sue grandi opere, è fantastico. Si profila come un’opera immersiva per accogliere:

  • i Concetti spaziali degli Anni 50;
  • il Neon della Fondazione Fontana;
  • il grande soffitto del ’56, proveniente dall’Hotel del Golfo dell’Isola d’Elba

Cordusio

È situata tra via Dante e piazza Cordusio. Vi si fermano i tram 1, 2, 12, 14, 16 e 27. Con la vicina fermata del Duomo è collegata mediante una galleria commerciale piena di negozi, denominata Galleria dell’Artigianato. Collocata esattamente a metà tra il Duomo e il Castello Sforzesco, piazza Cordusio è abitualmente tappa di passaggio. Il nome ha origine in epoca longobarda, quando il duca di Milano vi risiedeva. Dunque, deriva dal latio “curtis ducis” o “curia ducis”, ossia corte del duca. Prima di assumere definitivamente l’attuale denominazione, venne chiamata Largo Cordusio. Nel 1882, cambiando conformazione, fu ribattezzata piazza Ellittica. Nel periodo fascista, fu intitolata a Costanzo Ciano, finché l’Amministrazione non la riportò a essere piazza Cordusio. 

Nel centro si erge oggi una statua in memoria di Giuseppe Parini, un’opera di Beltrami. Prima del 1899 si trovava, però, dapprima una colonna votiva del periodo della peste del Cinquecento; a cui, successivamente, si sostituì una statua di San Carlo Borromeo. Il Governatore austriaco stabilì di spostare la statua dedicata al santo nell’omonima piazza nel 1786. Si giustificò affermando che costituiva intralcio alla circolazione, in seguito a uno scontro diretto con la carrozza. 

Gli edifici che si trovano in piazza Cordusio risalgono al periodo compreso tra l’Ottocento e il Novecento. I più moderni riportano uno stile neoclassico e un’architettura monumentale tipicamente fascista. Nel XX secolo diversi palazzi finirono demoliti, in favore di quelli che sorgono ancora oggi. Ad esempio, il Palazzo Broggi, ex sede delle Poste e della Borsa, o il Palazzo delle Assicurazioni. 

La diffusa presenza di attività lavorative e pubbliche ha alimentato pure il commercio in loco. Nell’ex palazzo delle poste ha aperto il primo Starbucks meneghino. La quotata catena di caffè ha scelto di stabilire qui la prima Starbucks Reserve Roastery d’Europa. Gli spazi ad uso ufficio sono inoltre occupati da Kryalos Sgr, Natwest e JP Morgan. 

L’ex sede di Poste Italiane è stata acquistata da un club deal di investitori della divisione private banking di Mediobanca. Per 246,7 milioni il prestigioso immobile se lo è accaparrato il Fondo di Investimento Alternativo immobiliare Milan Trophy RE Fund 3. Il “beauty contest” indetto ha visto coinvolti i maggiori player di mercato nazionali e internazionali. In data 23 ottobre Kryalos Sgr ha decretato la concessione di un periodo di esclusiva a Mediobanca. 

L’asset, edificato nel 1901, costituisce uno dei palazzi più iconici di Milano. In origine quartier generale della Borsa, dal 1998 al 2011 è stato la sede di Poste Italiane. Un investimento di 23 milioni circa ne ha determinato la ristrutturazione tra il 2015 e il 2018.  

“Con questa operazione – ha detto Angelo Viganò, Head of Mediobanca Private Banking – rinnoviamo il nostro impegno a identificare e creare soluzioni di investimento nell’economia reale. In un momento con tassi ai minimi, gli investimenti diretti in immobili di prestigio a reddito rappresentano un’opportunità in termini di diversificazione e rendimento, come dimostrato dal crescente interesse dei nostri clienti Ultra-High-Net-Worth verso soluzioni finanziarie alternative nel real estate come i club deal”.

Cairoli 

Posta in largo Cairoli, presenta molteplici uscite, anche sulle strade limitrofe. In particolare su:

  • via Luca Beltrami;
  • Foro Buonaparte;
  • via Cusani;
  • via Dante.

Oltre a fermate di tram, nei dintorni vi sono pure quelle degli autobus interurbani gestiti da Nord-Est Trasporti. 

Cadorna

Sotto piazzale Luigi Cadorna, funge da interscambio fra le linee M1 e M2, oltre che con la stazione ferroviaria. Presenta stazioni di taxi, tram e autobus.

Alla fine del Novecento, su progetto di Gae Aulenti, la piazza è stata completamente ristrutturata. Sono state aggiunte fontane, colonne rosse, tettoie di vetro, marciapiedi di granito rosa, pannelli verdi e pensiline colorate. 

Al centro un’installazione imponente: la nota scultura raffigurante un enorme ago, filo e nodo. La rappresentazione, frutto degli architetti Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, simboleggia la laboriosità e l’operosità locale. Conosciuta soprattutto da chi si muove abitualmente con i mezzi, piazzale Cadorna colpisce per la sua impronta contemporanea e all’avanguardia. Difatti, è uno dei luoghi simbolo di Milano. 

Conciliazione

In piazza della Conciliazione e, oltre alle fermate di autobus, vi si fermano anche quelle dei tram 10 e 16. Sebbene goda di poca fama, qui sale e scende la Milano dell’alta borghesia, che risiede nelle eleganti vie. Tra Corso Magenta e Vincenzo Monti, Caradosso e Ariosto, vanta case signorili di fine XIX secolo. Alti soffitti, edera sulle facciate, balconi che grondano gerani e rampicanti e citofoni tirati a lucido la contraddistinguono. 

La singolarità di Conciliazione è di essere sul bordo: da un versante il centro storico, l’austerità, la Milano della finanza; dall’altro le principali arterie del commercio, un quartiere più giovane e vario. Ma, nonostante l’anonimato apparente di una fermata per soli habitué, la statua di Carlo Ramous risveglia la curiosità. Realizzata nel 1972, si intitola Gesto per la Libertà. Da qui parte la sontuosa via XX Settembre, ampia strada alberata. Concepita dal Piano Beruto del 1889, accolse ville signorili con giardino – molte oggi disabitate – di cui:

  • villa Borletti (ampliata da Ignazio Gardella);
  • villa Francetti Frova;
  • villa Hoepli (abbattuta). 

In fondo, la scalinata che porta al parco lascia intravedere una parte della facciata della Triennale. Via Mascheroni conduce in piazza Tommaseo, che è sede di: 

  • Pupi Solari, negozio chic delle signore borghesi;   
  • Marcelline, scuola privata femminile fino agli Anni 80, primo liceo linguistico d’Italia. 

La parte migliore di piazza Conciliazione è il convento domenicano di Santa Maria delle Grazie. Fondato nel 1463, fu nel 1492 che si intraprese finalmente una campagna di rinnovamenti e ampliamenti. Con l’ascesa al potere di Ludovico il Moro, vi furono conferiti dettagli rinascimentali. Sotto la direzione di Donato Bramante, comparirono nell’abside, nella tribuna e nel chiostro grande. Beatrice d’Este, la giovane consorte del Moro, fu sepolta nel corpo della basilica; nel mausoleo costruito da Cristoforo Solari, successivamente trasferito alla Certosa di Pavia. 

Nel 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale, il convento e la chiesa furono bombardati. Il refettorio venne raso al suolo e si salvarono i due muri di testata: la parete con la Crocifissione di Donato Montorfano; e quella su cui Leonardo Da Vinci aveva generato il suo capolavoro, l’Ultima Cena. L’opera rimase esposta per diversi giorni alle intemperie atmosferiche, che contribuirono ad accelerarne il degrado. Il dipinto, conservato nel Museo del Cenacolo Vinciano, è stato dichiarato – con la chiesa e il convento – patrimonio dell’umanità dell’Unesco. 

Ludovico Sforza intraprese un rinnovamento della chiesa e del convento di Santa Maria delle Grazie. Luogo di celebrazione e di sepoltura della casata, lo impreziosì con la rappresentazione di Leonardo. La più celebre dell’Ultima Cena fu realizzata in tre anni, dal 1494 al 1497. Anziché “a fresco”, la tecnica applicata fu “a secco”, ovvero dipingendo, con una tempera grassa, direttamente sull’intonaco asciutto del muro. 

L’iconografia fu altrettanto innovativa. Leonardo decise di concentrarsi sulle emozioni nel momento più drammatico dell’Ultima Cena; quello della reazione degli apostoli all’annuncio del tradimento da parte di uno di loro. Il dipinto murale si rivelò estremamente fragile ben presto e già pochi anni dopo il suo completamento cominciò a deteriorarsi. Nel 1999, eseguito un lavoro lungo quasi un ventennio, si è concluso l’intervento finale di restauro: riaffiorarono le stesure originali. 

Pagano

Sotto via del Burchiello è posta, all’angolo con via Mario Pagano, la stazione pre diramazione per Rho Fiera e Bisceglie. Vi si ferma il tram numero 16b e altre linee di autobus. 

 

Diramazione Rho Fiera

 

Buonarotti

La prima fermata dopo quella di Pagano in direzione Rho Fiera Sotto si trova piazza Buonarroti; al cui centro è eretta la statua di Giuseppe Verdi (scolpita da Enrico Butti nel 1913).Elemento di spicco è anche la sua casa di riposo per musicisti. Una costruzione progettata dall’architetto Camillo Boito. Per conoscerne la storia (ne vale la pena…) il consiglio è di consultare il sito ufficiale.

Amendola Fiera

Sita sotto piazza Giovanni Amendola, bisogna sceglierla per raggiungere Fieramilanocity e CityLife, nella zona dei grattacieli. Questa stazione, dal design moderno, ha ottenuto la qualifica di bene architettonico tutelato dalla Soprintendenza.

Lotto

In piazzale Lotto, funge da interscambio tra la linea rossa e quella lilla. Ha anche altre uscite su viale Paolo Onorato Vigliani, via Monte Bianco e via Monte Rosa. Vi si fermano le linee dei tram 90 e 91 e di autobus. 

QT8

Nei pressi di questa stazione, in prossimità di piazza Santa Maria Nascente, pure linee di autobus ATM e Groane. Recentemente ha ottenuto approvazione il progetto definitivo per la realizzazione del CASVA (Centro Alti Studi per le Arti Visive). Nel quartiere QT8, sarà posato al posto dell’ex mercato comunale coperto ai piedi del Monte Stella. 

Tra piazza Santa Maria Nascente e via Isernia il progetto darà via alla riconversione dello stabile abbandonato. L’investimento stimato per assegnare una nuova sede e archivio del CASVA è stimato in circa 7,35 milioni di euro. Oggi è ospitata in alcuni locali del Castello Sforzesco, con un’ampia parte predisposta per ospitare le iniziative della zona. 

“L’approvazione del progetto definitivo è un passaggio importante per la nascita di un nuovo spazio culturale in città – ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno –. Dopo la procedura di assegnazione alle imprese potranno infatti cominciare i lavori per la realizzazione della struttura che accoglierà gli archivi delle più importanti figure della cultura del progetto, e diventerà luogo di incontro, cultura e socialità per il quartiere e la città intera”. 

La collezione del CASVA si è recentemente arricchita dell’archivio professionale (1952-2015) del designer, architetto e artista Enzo Mari. La gentile concessione si unisce a tante altre prestigiose, tra cui quelle di :

  • Luciano Baldessari; 
  • Vittorio Gregotti;
  • Roberto Sambonet;
  • Studio DDL (Paolo Lomazzi, Jonathan De Pas e Donato d’Urbino).

Il CASVA si configura come un centro di rilevanza europea per lo studio dell’arte, del design e dell’architettura novecentesca. La struttura dell’ex mercato comunale verrà completamente ristrutturata per accoglierne gli archivi. In continuità con lo spazio urbano, un luogo espositivo di oltre 500 metri quadri sarà allestito al piano terra. Così come: 

  • spazi per la consultazione per cittadini, ricercatori e studenti; 
  • locali dedicati alla conservazione e alla ricerca per l’uso del personale; 
  • spazi per la divulgazione che saranno aperti in occasione di eventi pubblici di quartiere. 

Invece, il seminterrato sarà dedicato all’archivio e al deposito del patrimonio comunale del CASVA. 

“Comincia da qui la nuova vita dell’ex mercato comunale nel quartiere QT8 – ha commentato l’assessore alla Mobilità e Lavori Pubblici Marco Granelli -. Abbiamo già messo in sicurezza e illuminato l’area e prevediamo di avviare il cantiere la prossima estate. Si tratta di un progetto molto importante capace di integrare l’offerta culturale del CASVA con le iniziative del Municipio 8. Ringrazio anche il presidente Simone Zambelli con cui abbiamo lavorato ad una soluzione condivisa per la progettazione di spazi riservati alla socialità e alle attività del quartiere”.

Lampugnano

Dislocata in via Giulio Natta, prevede nelle vicinanze pure le fermate di autobus nazionali e internazionali. In zona sarà costruito il nuovo Palasharp, un tempo palazzetto dello sport milanese (adottato anche per importanti concerti). Il progetto relativo alle Olimpiadi invernali 2026 Milano-Cortina ripartirà da zero. 

Uruguay

Trovandosi tra via Benedetto Croce e via Giacomo Quarenghi, è una delle ultime fermate nel Comune di Milano. Una delle quattro (con Bonola, San Leonardo e Molino Dorino) nel quartiere Gallaratese. 

Bonola

È un’eccezione della M1, in quanto non interamente sotterranea. Serve l’area nei pressi di largo Paolo Valerio e numerosi autobus urbani vi si fermano all’esterno.  

San Leonardo

Precisamente sita in via Gaetano Fichera, è posta al servizio dell’omonimo quartiere. Presenta un grande parcheggio esterno per auto.

Molino Dorino

Si trova, curiosamente, poco lontana dalla Motorizzazione Civile, dal Parco di Trenno e da un grande parcheggio di interscambio. 

Pero

Alla periferia di Milano, serve l’omonimo Comune. Di conseguenza, per i biglietti vige la tariffa extraurbana.

Rho fiera

Appartiene al Comune di Rho ed è in prossimità della Nuova Fiera di Milano. Svolse un’importante funzione: approdavano, infatti, qui tutti i visitatori di Expo 2015.

 

Diramazione Bisceglie della Linea Rossa

 

Wagner

In seguito alla fermata di Pagano, è la prima che conduce al capolinea di Bisceglie. Sita sotto piazza Wagner, nelle vicinanze vi sono pure fermate del tram 16 e di pullman.

De Angeli 

Posta nelle vicinanze della piazza omonima, effettuano fermate pure la linea 16 del tram e autobus urbani.

Gambara

Sita sotto piazza Gàmbara, è un esempio di stazione sotterranea.

Bande Nere

Si trova in piazzale Giovanni dalle Bande Nere e fa sempre parte della città meneghina.

Primatticcio

Sita in via Francesco Primaticcio, prevede nei dintorni anche fermate di autobus urbani.

Inganni

Si trova in via Angelo Inganni, nel territorio comunale del capoluogo lombardo.

Bisceglie

Serve le zone comprese tra via Lucca e via Bisceglie. Funge, peraltro, da capolinea pure per le linee di bus interurbani e urbani, sotto gestione STAV e Autoguidovie.  

 

M1: rimborso biglietti e abbonamenti

Il regolamento tariffario generale stabilisce che gli operatori di trasporto pubblico rimborsino biglietti e abbonamenti, in modalità predefinite. Nello specifico, vengono rimborsati:

  • i biglietti ordinari e giornalieri non ancora convalidati nella misura del 90 per cento della tariffa. Anziché la restituzione del denaro, il passeggero può avvalersi del rimborso per comprare un altro titolo di viaggio. In tal caso gli viene riconosciuto il 100 per cento della tariffa;
  • gli abbonamenti settimanali e mensili prima di divenire validi nella misura del 90 per cento. Anziché il rimborso, il passeggero può avvalersi del rimborso per comprare un altro titolo di viaggio. In tal caso gli viene riconosciuto il 100 per cento. Ipotizziamo sia richiesto entro il 31/01/2022 il rimborso di un mensile ordinario urbano del valore di 39 euro. Il rimborso dal 1° al 31 dicembre 2021 sarà pari al 90 per cento di 39 euro, ovvero 35,10 euro;
  • i carnet nella misura del 90%, pari alla differenza tra la tariffa del carnet e l’ammontare complessivo per i singoli ticket. I biglietti sono quelli che sarebbero singolarmente serviti per effettuare ciascuno dei viaggi già compiuti. Anziché la restituzione del denaro, il passeggero può avvalersi del rimborso per comprare un altro titolo di viaggio. In tal caso gli viene riconosciuto il 100 per cento. Ipotizziamo sia richiesto il rimborso di un carnet Mi1 – Mi3 del valore di 18 euro con 6 viaggi già effettuati. Il rimborso sarà del 90% della differenza tra 18€ euro e la somma di 6 biglietti Mi1–Mi3 da 2€; ovvero 90% di €18 – €12= € 5,40. Insomma, saranno rimborsati 5,40 euro.  
  • gli abbonamenti annuali. Il rimborso è pari al 100 per cento totale, premessa una differenza. Tra la tariffa complessiva e quella dei mesi già usufruiti. Il mese usato in misura parziale conta come integrale. Primo esempio: si chiede al 31 gennaio 2021 il rimborso di un annuale urbano con scadenza al 31 maggio 2021. Dal valore integrale sarà detratto il corrispettivo, calcolato a piena tariffa, per i mesi beneficiati sino a gennaio 2021 compreso. Il rimborso è pari a 330€ – 312€ (39€ * 8) = 18€. Insomma, saranno rimborsati 18 euro. Secondo esempio: si chiede al 31 gennaio 2021 il rimborso di un annuale urbano con scadenza al 30 aprile 2021. Qui i mesi usufruiti corrispondono a 9. In tal caso, non ci sarà alcun diritto ad un rimborso; ciò poiché il corrispettivo per i mesi non rimborsabili ammonterebbe a 351€ (39€*9), dunque superiore al valore dell’abbonamento (330€).

La domanda di rimborso deve essere inoltrata agli ATM Point. È sufficiente compilare il modulo reperibile agli sportelli. Portare con sé un documento di identità e un IBAN: i rimborsi in denaro avvengono unicamente tramite bonifico bancario. Per i viaggiatori minorenni, il rimborso va richiesto da un genitore o da chi ne fa le veci. I titoli magnetici sono rimborsati esclusivamente se integrati e conservati dal cliente nella maniera corretta. 

  • Abbonamenti settimanali: la richiesta va inoltrata agli sportelli prima dell’inizio della validità dell’abbonamento. 
  • mensili: sono ammesse richieste di rimborso presentate agli sportelli, entro il 5° giorno del mese di riferimento. Presso l’ATM Point viene verificato che l’abbonamento non risulti convalidato. 
  • Abbonamenti annuali: vengono rimborsate le mensilità non utilizzate. Se la richiesta viene presentata agli sportelli entro il giorno 5 del mese viene considerato anche il mese in corso. Altrimenti non viene rimborsato. Presso l’ATM Point viene verificato che l’abbonamento non risulti convalidato. 

 

Compensazioni COVID-19

Vista l’impossibilità di utilizzare, causa lockdown, gli abbonamenti ATM, lo scorso 10 agosto 2020 è partita un’iniziativa. Da quella data gli abbonati hanno potuto richiedere i rimborsi compensativi per le modalità non usufruite. Le domande sarebbero state presentabili sul portale della compagnia. E la sezione ad hoc raggiungibile pure dall’App ATM Milano.  “Un impegno che avevamo preso con i cittadini costretti a casa dalla pandemia – aveva commentato Marco Granelli, assessore alla Mobilità –, che ha richiesto un grande lavoro e uno sforzo non indifferente da parte dell’Amministrazione, e l’utilizzo di risorse economiche ingenti parte delle quali messe a disposizione dal Governo, in un momento in cui l’azienda è riuscita a garantire costantemente un servizio essenziale quale è quello del trasporto locale”. 

Vi avevano accesso i clienti il cui abbonamento mensile o annuale prevedeva il godimento dei mesi di marzo e aprile; a patto che si tratti di titoli di viaggio comprati mediante i canali di vendita ATM (ATM Point, sito web, rivenditori ed edicole, distributori automatici). Il 31 ottobre 2020 è, però, scaduto il diritto di avanzare richiesta.

Poiché le limitazioni agli spostamenti sussistono ancora, si sono adottati comunque degli accorgimenti. Per evitare agli abbonati viaggi non essenziali e pratiche per la sostituzione delle tessere è uscito un comunicato. Secondo il testo diramato, è prolungata di altri mesi l’iniziativa, che dà modo di rinnovare tutte le tessere; sono considerate quelle dall’inizio della pandemia, ovvero dal 1° marzo 2020, fino al 31 giugno 2021.  

In tessera ordinaria, studenti o senior la puoi rinnovare gratuitamente ancora per un anno. Ci sono tre vie: 

  • ATM Point;
  • rivenditore abilitato alla ricarica;
  • totem, collocati in ciascuna delle stazioni della metro. 

L’operazione è automatica. 

Il rinnovo non concerne eventuali abbonamenti caricati, che conservano la loro data di scadenza. Si fa esclusivamente riferimento alla tessera, ovverosia al supporto su cui l’abbonamento viene caricato. Gli Under 26 in possesso di tessere con profilo Studente, possono caricare abbonamenti dedicati fino al 31 gennaio 2021; l’agevolazione vale per gli Under 27 se l’abbonamento concerne unicamente la tratta urbana di Milano. Se la tessera scade nel 2020, la validità è prorogabile di 12 mesi. Tranne per gli abbonamenti acquistati in convenzione, l’abbonamento è ricaricabile sull’App ATM e sull’area riservata ATM. 

All’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano è pervenuta la seguente nota: “Tutte le tessere elettroniche personali con scadenza entro il 30 giugno 2021 potranno essere prorogate gratuitamente per 12 mesi dalla data di scadenza (esempio: tessera in scadenza al 30 aprile 2021 viene prorogata al 30 aprile 2022). Per gli utenti in possesso di tessere con profilo “Studente” è prorogata fino al 31 gennaio 2021 la possibilità di caricare abbonamenti dedicati ai giovani Under 26 (Under 27 per gli abbonamenti con validità esclusivamente urbana di Milano). Ogni Cliente/abbonato che desidera prolungare la validità della propria tessera in scadenza può rivolgersi ad un Rivenditore autorizzato che provvederà al prolungamento della validità delle tessere senza costi a carico del Cliente oppure il Cliente può provvedere direttamente poggiando la propria tessera ad uno dei totem presenti nei mezzanini della metropolitana che in automatico ne prolungherà la validità della stessa”

Detrazioni

A partire dal 01/01/2020, ai sensi della Legge Finanziaria, articolo 1, comma 679, muta la disciplina per la detraibilità. Per la detraibilità delle spese ex art. 15 TUIR serve rispettare la condizione di pagamento con versamento postale o bancario; oppure tramite altri sistemi di pagamento previsti dall’art. 23 del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241. La detraibilità fa riferimento alle spese sostenute con sistemi di pagamento tracciabili quali:

  • assegno bancario;
  • assegno circolare;
  • bonifico bancario;
  • carte di credito/prepagate;
  • modalità diverse dal contante.